Riportiamo il testo integrale dell'omelia pronunciata da Papa Francesco nella Basilica Vaticana durante la Santa Messa celebrata in occasione della Festa della Presentazione del Signore e della XXIII Giornata Mondiale della Vita Consacrata.
“La Liturgia oggi mostra Gesù che va incontro al suo popolo. È la festa dell’incontro: la novità del Bambino incontra la tradizione del tempio; la promessa trova compimento; Maria e Giuseppe, giovani, incontrano Simeone e Anna, anziani. Tutto, insomma, si incontra quando arriva Gesù.
Che cosa dice questo a noi? Anzitutto che anche noi siamo chiamati ad accogliere Gesù che ci viene incontro. Incontrarlo: il Dio della vita va incontrato ogni giorno della vita; non ogni tanto, ma ogni giorno. Seguire Gesù non è una decisione presa una volta per tutte, è una scelta quotidiana. E il Signore non si incontra virtualmente, ma direttamente, incontrandolo nella vita, nella concretezza della vita. Altrimenti Gesù diventa solo un bel ricordo del passato. Quando invece lo accogliamo come Signore della vita, centro di tutto, cuore pulsante di ogni cosa, allora Egli vive e rivive in noi. E accade anche a noi quello che accadde nel tempio: attorno a Lui tutto si incontra, la vita diventa armoniosa. Con Gesù si ritrova il coraggio di andare avanti e la forza di restare saldi. L’incontro col Signore è la fonte. È importante allora tornare alle sorgenti: riandare con la memoria agli incontri decisivi avuti con Lui, ravvivare il primo amore, magari scrivere la nostra storia d’amore col Signore. Farà bene alla nostra vita consacrata, perché non diventi tempo che passa, ma sia tempo di incontro.
Se facciamo memoria del nostro incontro fondante col Signore, ci accorgiamo che esso non è sorto come una questione privata tra noi e Dio. No, è sbocciato nel popolo credente, accanto a tanti fratelli e sorelle, in tempi e luoghi precisi. Ce lo dice il Vangelo, mostrando come l’incontro avviene nel popolo di Dio, nella sua storia concreta, nelle sue tradizioni vive: nel tempio, secondo la Legge, nel clima della profezia, con i giovani e gli anziani insieme (cfr Lc 2,25-28.34). Così anche la vita consacrata: sboccia e fiorisce nella Chiesa; se si isola, appassisce. Essa matura quando i giovani e gli anziani camminano insieme, quando i giovani ritrovano le radici e gli anziani accolgono i frutti. Invece ristagna quando si cammina da soli, quando si resta fissati al passato o ci si butta in avanti per cercare di sopravvivere. Oggi, festa dell’incontro, chiediamo la grazia di riscoprire il Signore vivo, nel popolo credente, e di far incontrare il carisma ricevuto con la grazia dell’oggi.
Il Vangelo ci dice anche che l’incontro di Dio col suo popolo ha una partenza e un traguardo. Si comincia dalla chiamata al tempio e si arriva alla visione nel tempio. La chiamata è duplice. C’è una prima chiamata «secondo la Legge» (v. 22). È quella di Giuseppe e Maria, che vanno al tempio per compiere ciò che la Legge prescrive. Il testo lo sottolinea quasi come un ritornello, ben quattro volte (cfr vv. 22.23.24.27). Non è una costrizione: i genitori di Gesù non vanno per forza o per soddisfare un mero adempimento esterno; vanno per rispondere alla chiamata di Dio. C’è poi una seconda chiamata, secondo lo Spirito. È quella di Simeone e Anna. Anche questa è evidenziata con insistenza: per tre volte, a proposito di Simeone, si parla dello Spirito Santo (cfr vv. 25.26.27) e si conclude con la profetessa Anna che, ispirata, loda Dio (cfr v. 38). Due giovani accorrono al tempio chiamati dalla Legge; due anziani mossi dallo Spirito. Questa duplice chiamata, della Legge e dello Spirito, che cosa dice alla nostra vita spirituale e alla nostra vita consacrata? Che tutti siamo chiamati a una duplice obbedienza: alla legge – nel senso di ciò che dà buon ordine alla vita – e allo Spirito, che fa cose nuove nella vita. Così nasce l’incontro col Signore: lo Spirito rivela il Signore, ma per accoglierlo occorre la costanza fedele di ogni giorno. Anche i carismi più grandi, senza una vita ordinata, non portano frutto. D’altra parte, le migliori regole non bastano senza la novità dello Spirito: legge e Spirito vanno insieme.
Per comprendere meglio questa chiamata che vediamo oggi nei primi giorni di vita di Gesù, al tempio, possiamo andare ai primi giorni del suo ministero pubblico, a Cana, dove trasforma l’acqua in vino. Anche lì c’è una chiamata all’obbedienza, con Maria che dice: «Qualsiasi cosa [Gesù] vi dica, fatela» (Gv 2,5). Qualsiasi cosa. E Gesù chiede una cosa particolare; non fa subito una cosa nuova, non procura dal nulla il vino che manca – avrebbe potuto farlo –, ma chiede una cosa concreta e impegnativa. Chiede di riempire sei grandi anfore di pietra per la purificazione rituale, che richiamano la Legge. Voleva dire travasare circa seicento litri d’acqua dal pozzo: tempo e fatica, che parevano inutili, perché ciò che mancava non era l’acqua, ma il vino! Eppure, proprio da quelle anfore riempite bene, «fino all’orlo» (v. 7), Gesù trae il vino nuovo. Così è per noi: Dio ci chiama a incontrarlo attraverso la fedeltà a cose concrete – Dio si incontra sempre nella concretezza –: la preghiera quotidiana, la Messa, la Confessione, una carità vera, la Parola di Dio ogni giorno, la prossimità, soprattutto ai più bisognosi, spiritualmente o corporalmente. Sono cose concrete, come nella vita consacrata l’obbedienza al Superiore e alle Regole. Se si mette in pratica con amore questa legge – con amore! –, lo Spirito sopraggiunge e porta la sorpresa di Dio, come al tempio e a Cana. L’acqua della quotidianità si trasforma allora nel vino della novità e la vita, che sembra più vincolata, diventa in realtà più libera. In questo momento mi viene alla memoria una suora, umile, che aveva proprio il carisma di essere vicina ai sacerdoti e ai seminaristi. L’altro ieri è stata introdotta qui, nella Diocesi [di Roma], la sua causa di beatificazione. Una suora semplice: non aveva grandi luci, ma aveva la saggezza dell’obbedienza, della fedeltà e di non avere paura delle novità. Chiediamo che il Signore, tramite suor Bernardetta, dia a tutti noi la grazia di andare per questa strada.
L’incontro, che nasce dalla chiamata, culmina nella visione. Simeone dice: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2,30). Vede il Bambino e vede la salvezza. Non vede il Messia che compie prodigi, ma un piccolo bimbo. Non vede qualcosa di straordinario, ma Gesù coi genitori, che portano al tempio due tortore o due colombi, cioè l’offerta più umile (cfr v. 24). Simeone vede la semplicità di Dio e accoglie la sua presenza. Non cerca altro, non chiede e non vuole di più, gli basta vedere il Bambino e prenderlo tra le braccia: “nunc dimittis, ora puoi lasciarmi andare” (cfr v. 29). Gli basta Dio com’è. In Lui trova il senso ultimo della vita. È la visione della vita consacrata, una visione semplice e profetica nella sua semplicità, dove si tiene il Signore davanti agli occhi e tra le mani, e non serve altro. La vita è Lui, la speranza è Lui, il futuro è Lui. La vita consacrata è questa visione profetica nella Chiesa: è sguardo che vede Dio presente nel mondo, anche se tanti non se ne accorgono; è voce che dice: “Dio basta, il resto passa”; è lode che sgorga nonostante tutto, come mostra la profetessa Anna. Era una donna molto anziana, che aveva vissuto tanti anni da vedova, ma non era cupa, nostalgica o ripiegata su di sé; al contrario sopraggiunge, loda Dio e parla solo di Lui (cfr v. 38). A me piace pensare che questa donna “chiacchierava bene”, e contro il male del chiacchiericcio questa sarebbe una buona patrona per convertirci, perché andava da una parte all’altra dicendo solamente: “È quello! È quel bambino! Andate a vederlo!”. Mi piace vederla così, come una donna di quartiere.
Ecco la vita consacrata: lode che dà gioia al popolo di Dio, visione profetica che rivela quello che conta. Quand’è così fiorisce e diventa richiamo per tutti contro la mediocrità: contro i cali di quota nella vita spirituale, contro la tentazione di giocare al ribasso con Dio, contro l’adattamento a una vita comoda e mondana, contro il lamento – le lamentele! –, l’insoddisfazione e il piangersi addosso, contro l’abitudine al “si fa quel che si può” e al “si è sempre fatto così”: queste non sono frasi secondo Dio. La vita consacrata non è sopravvivenza, non è prepararsi all’ “ars bene moriendi”: questa è la tentazione di oggi davanti al calo delle vocazioni. No, non è sopravvivenza, è vita nuova. “Ma… siamo poche…” – è vita nuova. È incontro vivo col Signore nel suo popolo. Èchiamata all’obbedienza fedele di ogni giorno e alle sorprese inedite dello Spirito. È visione di quel che conta abbracciare per avere la gioia: Gesù”.