“C’è un’indole del rifiuto che ci accomuna che induce a non guardare al prossimo come ad un fratello da accogliere, ma a lasciarlo fuori dal nostro personale orizzonte di vita, a trasformarlo piuttosto in un concorrente, in un suddito da dominare. Si tratta di una mentalità che genera quella cultura dello scarto che non risparmia niente e nessuno”. Lo ha detto Papa Francesco ricevendo in udienza 180 membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno. A poche ore dalla partenza per Sri Lanka e Filippine ha rivolto agli ambasciatori un discorso lungo e articolato.
Ribadendo il concetto della “cultura dello scarto” ha osservato come “a una dimensione personale del rifiuto, si associa così inevitabilmente una dimensione sociale, una cultura che rigetta l’altro, recide i legami più intimi e veri, finendo per sciogliere e disgregare tutta quanta la società e per generare violenza e morte”. Ha così citato “la tragica strage avvenuta a Parigi alcuni giorni fa” riferendosi al suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace: “Gli altri non sono più percepiti come esseri di pari dignità, come fratelli e sorelle in umanità, ma vengono visti come oggetti”. “E l’essere umano – ha soggiunto – da libero diventa schiavo, ora delle mode, ora del potere, ora del denaro, talvolta perfino di forme fuorviate di religione”.
Ha elencato i diversi scenari di una vera e propria guerra mondiale “combattuta a pezzi”: il Pakistan, dove “cento bambini sono stati trucidati con inaudita ferocia”, l’Ucraina, la Nigeria, la Libia, la Repubblica Centrafricana, il Sudan, il Corno d’Africa, la Repubblica Democratica del Congo, il Medio Oriente. Quest’ultimo “è purtroppo attraversato anche da altri conflitti, che si protraggono ormai da troppo tempo e i cui risvolti sono agghiaccianti anche per il dilagare del terrorismo di matrice fondamentalista in Siria ed in Iraq”. “Tale fenomeno – ha proseguito – è conseguenza della cultura dello scarto applicata a Dio. Il fondamentalismo religioso, infatti, prima ancora di scartare gli esseri umani perpetrando orrendi massacri, rifiuta Dio stesso, relegandolo a un mero pretesto ideologico”.
Successivamente ha rivolto un appello ai “leader religiosi, politici e intellettuali specialmente musulmani” affinché “condannino qualsiasi interpretazione fondamentalista ed estremista della religione, volta a giustificare tali atti di violenza”. Secondo il vescovo di Roma vi sono “forme più sottili e subdole di rifiuto, che egualmente alimentano” la cultura dello scarto: “Penso anzitutto al modo con cui vengono spesso trattati i malati, isolati ed emarginati come i lebbrosi di cui parla il Vangelo. Tra i lebbrosi del nostro tempo vi sono le vittime di questa nuova e tremenda epidemia di Ebola, che, specialmente in Liberia, Sierra Leone e Guinea, ha già falcidiato oltre seimila vite”.
Ha ricordato, inoltre, la situazione di profughi e rifugiati in diverse parti del mondo che talvolta non vanno in cerca di un “futuro migliore, ma semplicemente di un futuro, poiché rimanere nella propria patria può significare una morte certa”. Ha aggiunto che è “necessario un cambio di atteggiamento” e la messa in atto di “legislazioni adeguate” passando “dal disinteresse e dalla paura ad una sincera accettazione” e accoglienza dell’altro. “Ma accanto ai migranti, ai profughi e ai rifugiati – ha continuato – vi sono tanti altri ‘esiliati nascosti’, che vivono all’interno delle nostre case e delle nostre famiglie. Penso soprattutto agli anziani e ai diversamente abili, come pure ai giovani”.
Riguardo ai problemi di quest’ultimi – e non solo – ha espresso come non esista “peggiore povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro”. Il successore di Pietro ha speso alcune parole anche per la famiglia, “non di rado fatta oggetto di scarto, a causa di una sempre più diffusa cultura individualista ed egoista che rescinde i legami e tende a favorire il drammatico fenomeno della denatalità, nonché di legislazioni che privilegiano diverse forme di convivenza”.
“Proprio alla cara Nazione italiana – ha ripreso – desidero rivolgere un pensiero carico di speranza perché nel perdurante clima di incertezza sociale, politica ed economica il popolo italiano non ceda al disimpegno e alla tentazione dello scontro, ma riscopra quei valori di attenzione reciproca e solidarietà”. Al termine del discorso il Pontefice ha voluto ringraziare e porre l’accento su ciò che Dio “ci ha donato, per i benefici che ci ha elargito, per i dialoghi e gli incontri che ci ha concesso e per alcuni frutti di pace che ci ha dato la gioia di assaporare”. A tale proposito ha citato l’esempio di Albania, Turchia, Giordania, Libano, Stati Uniti e Cuba, Burkina Faso, Filippine, Colombia e Venezuela.
Dalla catastrofe dell’esplosione della prima bomba atomica e dalle ceneri della seconda guerra mondiale – ha affermato – “è sorta tra le Nazioni una volontà nuova di dialogo e di incontro che ha dato vita all’Organizzazione delle Nazioni Unite, di cui quest’anno celebreremo il 70° anniversario”. Il Santo Padre ha rievocato il discorso che nel 1965 Paolo VI ha tenuto all’Onu: “non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità”. Il 2015, ha concluso, “vedrà il prosieguo di due importanti processi: la redazione dell’Agenda di Sviluppo post-2015, con l’adozione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, e l’elaborazione di un nuovo Accordo sul clima”.