Un giubbotto salvagente che veste una Croce in resina: è il crocifisso che oggi Papa Francesco ha esposto in Vaticano, nel Cortile del Belvedere, davanti ai 33 profughi arrivati di recente da Lesbo con i corridoi umanitari accompagnati dal cardinale Konrad Krajewski e dalla Comunità di Sant’Egidio. Un giubbotto che è un velo rosso come il rivolo di sangue di Cristo, simbolo di un'umanità ferita: “Nella tradizione cristiana la Croce è simbolo di sofferenza e sacrificio, ma anche di redenzione e salvezza” ha detto il Papa. Sì, perché la salvezza si tocca nelle vite di chi muore di speranza nel mare: “Il giubbotto incastonato nella Croce è l'unico segno identitario di un uomo senza nome, scomparso nel Mediterraneo centrale nel luglio 2019. Nessuna menzione fra gli abissi: nell'elencare le coordinate di rilevamento del suo corpo, il Papa gli restituisce la dignità della presenza, perché in fondo, gli era stato fatto dono della vita da Dio: ” Ogni vita è preziosa agli occhi di Dio” ha ricordato.
Il video della cerimonia – Video © Vatican Media
Ingiustizia
È l'ingiustizia la causa di tutto – secondo le parole di Papa Francesco: “È l'ingiustizia che costringe molti migranti a lasciare le loro terre, che li obbliga a subire abusi”. Un'ingiustizia che passa dall'esilio, fino all'espulsione, “è l'ingiustizia che li respinge e li fa morire in mare”. Da ciò la simbologia della Croce, “fonte di salvezza e potenza di Dio” che è anche “sfida a cercare sempre la Verità” Da ciò il materiale, la resina: “La Croce è luminescente perché vuole rincuorare la nostra fede nella Resurrezione […]. Anche il migrante ignoto morto nella speranza di questa nuova vita è partecipe di questa vittoria [di Cristo sulla morte, ndr]”. All'ingiustizia si oppone una salvezza che salva tutti, non solo i migranti. Papa Francesco ha ricordato le testimonianze dei soccorritori che stanno imparando l'umanità dalle persone che salvano
Impegno morale
Salvare ogni vita umana “è un dovere morale che unisce credenti e non credenti” sottolinea Papa Francesco: Come possiamo non ascoltare il grido disperato di tanti fratelli e sorelle che preferiscono affrontare un mare in tempesta piuttosto che morire lentamente nei campi di detenzione libici, luoghi di tortura e schiavitù ignobile. Come possiamo rimanere indifferenti di fronte agli abusi e alle violenze di cui sono vittime innocenti, lasciandoli alle mercé di trafficanti senza scrupoli. Come possiamo 'passare oltr', come il sacerdote e il levita della parabola del Buon Samaritano, facendoci così responsabili della loro morte. La nostra ignavia è peccato!” ha affermato il Pontefice.
Soccorrere senza farsi domande
Il Papa ha voluto ringraziare “chi si prodiga a soccorrere il malcapitato sulla via verso Gerico senza farsi domande. Non è bloccando le loro navi che si risolve il problema. Bisogna – ha aggiunto – svuotare i campi di detenzione in Libia, a denunciare i trafficanti che sfruttano e maltrattano i migranti senza timore di rivelare connivenze e complicità con le istituzioni. Bisogna mettere dal parte interessi economici per mettere al centro ogni persona […]. Siamo tutti responsabili della vita del nostro prossimo – ha concluso Papa Francesco -. Il Signore ce ne renderà conto al momento del giudizio.