Papa Francesco è giunto a Puerto Maldonado per uno dei momenti clou del suo viaggio in Perù, l'incontro con i popoli indigeni. Prima del suo discorso, la testimonianza dei popoli amazzonici nel Coliseo Madre de Dios è stata affidata a due rappresentanti degli Harakbut, Héctor Sueyo e Yésica Patiachi, e a una donna Awajún, María Luzmila Bermeo.
“Siamo i superstiti di molte crudeltà e ingiustizie” hanno esordito i due Harakbut che hanno poi sottolineato la sofferenza causata dallo “sfruttamento delle nostre risorse naturali. Attualmente molti stranieri invadono i nostri territori: boscaioli, cercatori d'oro, compagnie petrolifere, quanti aprono sentieri per aprire strade di cemento. Entrano nei nostri territori senza consultarci e soffriamo molto e moriamo quando gli stranieri perforano la terra per estrarre l'acqua nera metallifera, soffriamo quando avvelenano e rovinano i nostri fiumi trasformati in acque nere di morte”. I due indigeni hanno paragonato il Papa a “Apagntonë, il missionario domenicano José Álvarez Fernández, che venne da noi quando stavamo scomparendo. Per questo oggi siamo vivi e continuiamo a resistere”. Un missionario che spese tutta la sua vita, per 53 anni, al servizio dei popoli amazzonici e di cui è stata aperta la causa di beatificazione nel 2000. “Lo spirito dei nostri antenati ci accompagna – hanno proseguito gli Harakbut – Le chiediamo di difenderci. Gli stranieri ci vedono deboli e insistono a toglierci il nostro territorio in diversi modi. Se riuscissero a toglierci le nostre terre, potremmo sparire. Vogliamo che i nostri figli abbiano accesso all'istruzione però non vogliamo che la scuola cancelli le nostre tradizioni, le nostre lingue, non vogliamo dimenticarci della nostra sapienza ancestrale. Vogliamo che i nostri figli ricevano educazione perché non soffrano e non siano discriminati come noi. Siamo popoli indigeni, abbiamo vissuto qui da tempi remoti. La nostra eredità ancestrale è la nostra lingua. Ci sentiamo orgogliosi di appartenere a un popolo nativo e di parlare la nostra lingua. Malgrado ciò, abbiamo paura, perché vogliono farci sparire. Noi popoli indigeni dell'Amazzonia vogliamo dire a tutta l'umanità che anche noi siamo preoccupati perché la terra si sta rovinando, perché gli animali si stanno riducendo, gli alberi spariscono, i pesci muoiono, l'acqua dolce si sta esaurendo per le conseguenze del cambio climatico e per la comparsa di malattie ed epidemie. Per questo, il Cielo è infastidito e piange perché stiamo distruggendo il nostro pianeta. Se non abbiamo cibo, moriremo di fame. Il popolo Harakbut insieme a tutti gli altri dell'Amazzonia, vuole dirle questo: tutti curiamo e proteggiamo la nostra terra per vivere in armonia. Così come noi crediamo nell'albero Anamei, nel nostro eroe culturale Amarinke, anche lei segue l'esempio e porta il messaggio di Dio e ci accompagna come Gesù” hanno concluso.
“L'Amazzonia contava su buone consuetudini, i genitori formavano i figli con buoni valori – ha raccontato invece María Luzmila Bermeo – Gli raccontavano i miti come Nugkui, Ipak e Sua, Yampan, che servivano a vivere e a comportarsi bene. Il Nantu e l'Auju ci diedero l'argilla e con essa fabbrichiamo la ceramica, prepariamo i nostri utensili domestici. Come amazzonici vogliamo conservare la nostra cultura, i nostri costumi. I nostri figli devono imparare e valorizzare il nostro modo di vivere, il nostro idioma”. L'esponente awajún ha fatto un quadro dell'economia e dello stile di vita dei popoli nativi: “L'Amazzonia – ha spiegato al Papa, portando alcuni oggetti di produzione locale – conta su donne organizzate come artigiane, imprenditrici, contadine, docenti… Io faccio parte di queste donne artigiane e anche abbiamo alcuni uomini con cui lavoriamo su quattro linee: ceramica, bigiotteria, legno e fibre di palma e liane”. E poi ha espresso la preoccupazione di “perdere l'opportunità di apprendere i valori cristiani necessari per allevare bene i nostri figli, il rispetto della famiglia, l'ordine, l'obbedienza ai genitori. Noi awajún abbiamo perso molti valori e ora è peggio, i giovani stanno apprendendo vizi e cattive abitudini che influenzano la nostra comunità. Ho 67 anni e ho sempre vissuto nella regione amazzonica, ricordo che il nostro territorio era una bellezza, pieno di piante, uccelli, pesci, alberi e in abbondanza. E tutto questo era la nostra casa, la nostra pesca, il nostro sostentamento, e ora non abbiamo nulla. Abbiamo perso. Quale sarà stato il nostro problema? Le necessità basilari delle popolazioni amazzoniche e di quelle straniere sono cresciute. Abbiamo bisogno di più soldi per comprare, costruire, formarci e curarci e c'è stato un abuso della natura. Abbiamo aggredito la foresta, uccidendo pesci, abbattendo alberi, cacciando molti animali, contaminando i fiumi con l'estrazione mineraria e dell'oro, sfruttando il petrolio. Ora non abbiamo molte risorse naturali. Non ce ne curiamo, non rispettiamo la natura. Piuttosto la contaminiamo. L'inquinamento di altri paesi con le loro fabbriche enormi danneggia anche il mondo e il nostro territorio amazzonico soffre il cambio climatico. Cosa possiamo fare? Le autorità ci aiutino a preservare la foresta – ha concluso – per mantenere il nostro ambiente pulito e respirare aria pura, come quando ero piccola. Noi ci organizziamo per difendere il nostro territorio. Caro Papa, preghi molto perché l'Amazzonia non perda i suoi saperi, le sue ricchezze, le sue culture e i suoi valori”.