Non ha fatto troppo rumore, eppure i numeri sono drammatici: 14 persone sono state uccise nell'attacco alla chiesa protestante di Foutouri, in Burkina Faso, appena al di sotto di quella fascia centro-nord africana corrispondente al Sahel, vittima di un violento e troppo spesso inosservato rigurgito jihadista. Un'irruzione a colpi di mitra quella che ha spezzato la mattina di preghiera nella chiesa burkinabé, da parte di un gruppo di uomini armati di cui, al momento, non è chiara né l'appartenenza né i moventi. Di certo c'è solo il bilancio delle vittime e l'odio perpetrato nei confronti di chi tentava di professare liberamente la propria fede. E non è un caso isolato, visto che in Burkina Faso gli attacchi fondamentalisti hanno iniziato a far registrare numeri sempre maggiori tanto che, secondo i dati Onu, nell'ultimo anno sarebbero stati 500 mila gli abitanti del Paese (a maggioranza musulmana) ad aver lasciato le proprie abitazioni per sottrarsi alle violenze dei gruppi jihadisti.
Attacchi frequenti
L'attacco di Fouturi ha sconvolto la comunità cristiana del Burkina Faso ed è stato condannato duramente sia dal presidente Roch Marc Christian Kaboré (“Condanno il barbaro attacco contro la chiesa protestante di Hantoukoura, nel dipartimento di Foutouri, che ha causato 14 morti e numerosi feriti”) che dai rappresentanti ecclesiastici locali, come il vescovo di Ouahigouya Justin Kientega che, in un'intervista a Vatican News, ha ribadito che nel Paese “è in atto una persecuzione dei cristiani. Da mesi noi vescovi denunciamo quanto accade in Burkina Faso, ma nessuno ci ascolta. Evidentemente preferiscono tutelare i propri interessi”. Un ulteriore segnale di come le violenze fondamentaliste stiano logorando il tessuto sociale di un Paese che, come altri, si trova al centro di un pericoloso incremento di attacchi da parte di gruppi appartenenti ad al Qaeda o al sedicente Stato islamico. Offensive che, secondo gli analisti, mirano a destabilizzare l'equilibrio fra le diverse confessioni nella fascia centro-settentrionale del continente africano, sfruttando alcune divergenze etniche, come in Mali, e gli ultimi focolai integralisti nel Sahel, riattivati in corrispondenza all'arretramento del Califfato nelle aree mediorientali. Una deriva rischiosa che nel Burkina Faso, terra di una convivenza sostanzialmente pacifica fra religioni diverse, riserva effetti ancora più devastanti: “L'attacco non è stato rivendicato, così come non sono stati rivendicati i precedenti – ha detto ancora il vescovo Kientega – e dunque non sappiamo se si tratti di uno o più gruppi. Quel che è certo è che stanno mettendo in atto una propaganda islamista e cercano di innescare un conflitto tra religioni in un Paese in cui cristiani e musulmani sono sempre andati d'accordo“.