Il buddismo e il Tibet presto potrebbero trovarsi senza una guida. Il Dalai Lama, in un’intervista al quotidiano Welt am Sonntag, ha infatti chiesto di non scegliere alcun successore dopo la sua morte. “L’istituzione del Dalai Lama ha fatto il suo tempo” ha detto il leader spirituale, premio Nobel per la pace nel 1989. Questo perché il “Buddismo tibetano – ha proseguito– non dipende da un solo individuo. Abbiamo una buona organizzazione della quale fanno parte monaci e studiosi altamente qualificati”.
A chi spetterà, dunque, adottare le decisioni vitali per la comunità? Ai politici, che già da quasi tredici anni sono investiti di maggiori responsabilità e funzioni. Ma l’orizzonte di un buddismo privo della sua massima carica sembra ancora lontano. Il Dalai Lama, nonostante i suoi quasi 80 anni di età, vede ancora un lungo cammino davanti a sé: “Secondo i medici che mi hanno visitato – ha raccontato ancora al Die Welt – arriverò a 100 anni. Stando ai miei sogni a 113. Ma 100, credo, saranno sicuri”.
Il Dalai Lama, che ha ammesso di avere una forte nostalgia del Tibet dopo 50 anni di esilio, vede con ottimismo la nuova situazione politica in Cina. “Sotto il presidente Xi Jinping è iniziata una nuova era” ha affermato la guida spirituale “vuole creare una società più armoniosa rispetto a quella del suo predecessore Hu Jintao. Inoltre, nella sua visita a Parigi del marzo scorso, aveva definito il buddismo come una parte importante della cultura cinese”. Dure critiche sono state invece espresse nei confronti di Vladimir Putin: “Dapprima è stato presidente, poi premier e poi di nuovo presidente, un po’ troppo. Ciò dimostra che è molto egocentrico: io, io, io!”