Èiniziata con la rassegna dei nomi delle 43 vittime la celebrazione che, questa mattina, commemora i caduti del crollo del Ponte Morandi: quarantatré volti originari di Genova e non, a testimonianza che il dolore, tanto quanto l'umana sofferenza, recano con sé una radice universale, accorciano le distanze. La celebrazione è stata presenziata dal cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo metropolita di Genova ed ha avuto luogo in un'area di cantiere nei pressi del luogo dove sorgeva il viadotto: metafora della vita fragile, a tratti puntellata, eppure schiusa al desiderio di ricostruzione.
Libro di Giobbe:
La prima lettura scelta è tratta dal libro di Giobbe, il patriarca dell'Antico Testamento che è afflitto da terribili sciagure. Proprio nel mistero del male terreno che egli vive, riscopre tuttavia la presenza di Dio nella sua vita e ritrova la speranza nella salvezza. La “Parola” che “è impressa con filo di piombo sulla roccia” si contrappone, nel suo auspicio d'eternità, alla fragilità della natura umana e alla fallace responsabilità cui spesso si sgravano gli uomini.
Il Vangelo scelto è tratto da Matteo (Mt 18, 15-20).
Le parole del card. Bagnasco sono state quelle pronunciata da genovese ai genovesi: “A distanza di un anno, Genova è qui e con noi prega per le vittime, angeli della nostra città. Con gli occhi della fede li vediamo affacciarsi dalla finestra del Cielo”. Il cardinale ha ripercorso i momenti di un anno fa e lo ha fatto unendo il suo triste ricordo a quello dei genovesi e di tutti gli Italiani: “Abbiamo incisi nei gionri quell'Apocalisse che ci ha fatti sentire svuotati. come in quei momenti di lutto, la città rinnova oggi il suo abbarccio familiare delle vittime”. Bagnasco a parlato prima a loro, alle vittime: “Vogliamo stringerci a loro perché non si sentano troppo soli”. Poi, ripercorrendo idealmente la liturgia della lettura della celebrazione, ravvisa nei momenti bui una speranza: “Abbiamo stampata dell'anima anche una luce che ha sfidato l'oscurià di quei monenti, che si è fatta largo tra le macerie: è la luce dei soccorirtori”. I soccoritori rappresentano – per il cardinale – la testimonianza più tangibile di quell'amore pronto, senza condizionamenti né condizionamenti: “A tutti rinnoviamo gratitudin essi hanno espresso l'anima di genova la sua forza di non piegarsi la sua coriacea voglia di rinascere. E così è”.
Verso il futuro
“Tutti hanno vissuto il distacco da un ambiente familiare caro” ha ricordato Bagnasco. Il distacco, non solo fisico, porta con sè dolore ma, al di là del suo più intimo mistero, a volte risulta necessario. Il cardinale ha fatto un parallelismo fra la separazione dilaniante dagli affetti e quella, simbolica ma altrettanto potente, dall'ultimo pilone del ponte ormai demolito: “La demolizione del troncone è stata come un deifnitivo distacco dalla storia”, che induce a guardare verso il futuro, “un futuro che a cui dobbiamo guardare insieme […] un futuro non lontano, che oggi cominciamo a vedere”.
La carità
Nelle sue parole, il card. Bagnasco ha voluto ricordare come il crollo del Ponte Morandi riporti alla fragilità costitutiva dell'essere umano: “Per esperienza, sappiamo quanto siamo fragili”, ma “se restiamo uniti e ci lasciamo umilmente abbracciare da Dio, allora saremo capaci di abbracciarci gli uni gli altri e le nostre capacità si moltiplicherrano e faremo miracoli“. Il miracolo più grande – sottolinea il prelato – è la carità, quella dimostrata dai soccorritori, dai genovesi, diretta emanazione della Carità più alta, quella che promana da Dio. Questa è l'eredità più alta – sottolinea Bagnasco – che si potrà lasciare alle nuove generazioni, non solo genovesi. In questo modo, nell'evento più drammatico per la Superba, la dedizione dell'uomo può diventare faro e modello per tutti gli Italiani: “Quale responsabilità per i nostri giovani. Sia così per Genova e per il nostro amato Paese”.