La Chiesa australiana non ha intenzione di cedere alle pressioni governative. E' stata resa pubblica la dichiarazione conclusiva dell'Assemblea generale dei vescovi australiani in cui viene ribadita ancora una volta la volontà di non piegarsi alla legge votata dal Parlamento di Canberra che impone ai sacerdoti di violare il segreto confessionale. Il testo recepisce le indicazioni della Royal Commission creata dal potere statale per la questione degli abusi su minori ma rifiuta l'idea che si possa abolire per legge il sigillo sacramentale. “La legge voluta dal Parlamento”, dicono i vescovi, “è contraria alla nostra fede e nemica della libertà religiosa. Siamo impegnati nella salvaguardia dei bambini e delle persone vulnerabili, ma allo stesso tempo manteniamo il sigillo. Non vediamo come salvaguardia e sigillo della confessione si possano escludere l’uno con l’altro”.
Collaborazione nelle indagini
Per il resto, la Chiesa australiana ha dato la sua massima disponibilità a collaborare con le autorità nei casi di abusi ma non vede il nesso esistente tra l'abolizione del segreto confessionale ed una maggiore sicurezza dei minori. Questo provvedimento, al contrario, viene visto come un atto attraverso cui lo Stato calpesterebbe la libertà religiosa.
Gli sconfinamenti del potere statale
Negli atti della Commissione d'inchiesta istituita dal Parlamento, si è addirittura toccato l'argomento del celibato andando a consultare una lista di teologi per chiedere il loro parere su un'eventuale connessione con il verificarsi degli episodi di abusi ad opera di sacerdoti. Il potere statale australiano, dunque, sembra aver voluto “sconfinare” su un terreno che è di competenza della Chiesa. Di fronte a questi tentativi, i vescovi hanno fatto quadrato accogliendo tutte le indicazioni della Commissione sulla tutela dei minori ma dichiarandosi non disposti ad accettare la violazione di un sacramento per il quale è prevista anche la scomunica. L'Assemblea generale dei presuli, inoltre, ha fatto notare che “molti confessionali hanno uno schermo che impedisce al sacerdote di vedere in faccia il penitente. Ma anche se lo vedesse, non è detto che lo conosca. Per confessarsi non è richiesto dichiarare la propria identità. Senza contare, poi, che i pedofili in base all’esperienza non si confessano né al sacerdote né alla giustizia”.