Oggi ricorrono sei anni da quando i cardinali riuniti in conclave nella Cappella Sistina del Vaticano elessero il cardinale Jorge Mario Bergoglio SJ, Arcivescovo di Buenos Aires (Argentina), a successore di Pietro. È arrivato così, all’età di 77 anni, il 266° Papa della storia della Chiesa, primo Pontefice dal sud del mondo e del continente americano, primo Papa della Compagnia di Gesù. Ha preso il nome di Francesco in riferimento al Poverello d’Assisi che, qualche giorno più tardi, indicò come “l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato”.
Di notte, dalla loggia delle benedizioni, il cardinale francese Jean-Louis Tauran annunciò la “grande gioia” dell’“Habemus Papam!” e, quindi, subito Bergoglio comparve, in un primo momento silenzioso e come spaventato, ma poi aperto e sorridente tra gli applausi mentre le fanfare intonavano l’inno del Vaticano.
Il suo primo messaggio – “Fratelli e sorelle, buona sera!” – e il suo modo di essere semplice ha conquistato subito i presenti di piazza San Pietro, anche perché la prima cosa che il Vicario di Cristo ha chiesto ai fedeli è stata una preghiera per il Papa emerito Benedetto XVI, segnando così il suo desiderio di continuità con un Pontefice molto amato. Come primo atto, quindi, una preghiera per Josef Ratzinger: “Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca”.
Il motto episcopale di Bergoglio, sottolineando la misericordia di Dio in azione, sarà quello da Papa, ovvero “miserando atque eligendo“. Questa citazione proviene dalle Omelie di San Beda il Venerabile che, commentando il racconto evangelico della vocazione di Matteo, ha scritto: “Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi”. La scelta è derivata dalla circostanza che Bergoglio, a 16 anni, sentì la sua chiamata al sacerdozio proprio nel giorno della festa di questo Apostolo, il 21 settembre del 1953.
Questi primi sei anni di pontificato hanno costituito una marcia del Vescovo e del popolo di Dio nella preghiera, nella carità, nella purificazione, per ricostruire la fiducia nella Chiesa di Cristo, sotto lo sguardo della Vergine Maria. Così ne ha recente parlato Jean-Louis di Vaissière nel suo recente libro “François dans la tempête” (Francesco nella tempesta) (Salvator, 2017): “Il Papa argentino, perfettamente fedele al dogma, porta aria fresca nella Chiesa e cercando di attuare tutto ciò che nel Concilio non è stato pienamente attuato. Dà il buon esempio con i gesti più che con le parole; egli ha un meraviglioso messaggio di speranza, quella di una Chiesa impegnata per i poveri, nella lotta per la vita di più di sette miliardi di persone“.
Per Papa Francesco la Chiesa “deve uscire da sé stessa e cercare le periferie”, non solo geografiche, ma anche umane ed esistenziali, si deve andare dal più piccolo, avvicinando le persone quando si manifestano il peccato, il dolore, l’ingiustizia e l’ignoranza.
Le “malattie” della Chiesa quando non evangelizza consistono nell’autoreferenzialità, nel “narcisismo teologico“, nello sguardo lontano dal mondo che “pretende di tenere Gesù Cristo, senza andare fuori”.
Questo è il programma a cui si sono affidati gli elettori che hanno scelto Jorge Mario Bergoglio. E questa riforma, appena intrapresa, ci sta accompagnando nelle tempeste della storia, nelle vicende di debolezza e tradimento di tanti cristiani. Ma alla luce di uno dei viaggi più significati di Papa Francesco, quello a Fatima il 12 e 13 maggio 2017 per il centenario delle apparizioni, ricordiamo con lui: “La misericordia di Dio non nega la giustizia, perché Gesù ha preso su di Sé le conseguenze del nostro peccato insieme al dovuto castigo”.