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La grandezza e l’importanza di Saulo di Tarso

Il 29 giugno celebriamo la solennità dei santi Pietro e Paolo. Una buona occasione per rivisitare la vocazione di queste due colonne della Chiesa. Noi non abbiamo le parole sufficienti né sufficientemente eloquenti per dire la grandezza e l’importanza di Saulo di Tarso, “il tredicesimo apostolo”, Paolo, il grande araldo del Vangelo, il più grande missionario di tutti i tempi. Si è calcolato che Paolo abbia dovuto percorrere 20.000 Km per terra e per mare, un’impresa certamente eccezionale, date le condizioni dell’epoca.  Ma la sua grandezza non deriva tanto dalla distanza percorsa, quanto dallo straordinario carisma della sua vocazione e del suo apostolato (vedi Atti degli Apostoli 9,1-30; 22,1-21; 26,1-32).

Un vaso di elezione

Di Paolo abbiamo abbondanti notizie, sia attraverso gli Atti degli Apostoli, sia dalle sue lettere. Permettetemi di ricordare alcuni dati. Nato a Tarso nella diaspora, dalla Tribù di Beniamino, cittadino romano, ha studiato la Legge (Torah) alla scuola del famoso Rabbino Gamaliele, in Gerusalemme, all’inizio degli anni 30. Lì, a Gerusalemme, ha conosciuto i seguaci del nuovo “cammino”, i discepoli del Nazareno che mettevano in questione la centralità della “Torah”, sostituendola con l’adesione a Gesù, da loro ritenuto Messia e Salvatore, Morto e Risorto. Zelante difensore della Legge, con l’ardore proprio della sua giovane età (un po’ più di vent’anni), Saulo era presto diventato un feroce persecutore dei discepoli di Gesù. Egli è il testimone privilegiato del martirio di Santo Stefano, morte che lui stesso approvò perché “conviene che un solo uomo muoia per il bene di tutta la Nazione!”.

Sulla via di Damasco

Dopo questo, qualche cosa di inimmaginabile accadde sulla strada di Damasco (Siria), dove si dirigeva con l’obiettivo di perseguitare la comunità cristiana. Saulo fu letteralmente folgorato da un’apparizione di Gesù. Diventato cieco, condotto per mano, entrò a Damasco, e per tre giorni visse il suo “mistero pasquale”, passando per una trasformazione radicale della sua vita. Anania, un anziano della comunità, fu inviato per guarirlo dalla sua cecità e orientarlo nei primi passi della fede. Diventa  “vaso di elezione”, scelto dal Signore per essere  l’apostolo dei pagani (Atti 9,15). Svuotato dell’”aceto” del suo fanatismo per la legge, il suo cuore sarà riempito del “miele” dell’amore di Cristo. Era circa l’anno 36.

Nuovo e ardente proselito

Barnaba presenterà il nuovo e ardente “proselito” della comunità di Gerusalemme, dissipando dubbi e reticenze nei suoi confronti. Insieme, per rivelazione dello Spirito, inizieranno un primo viaggio apostolico, partendo dalla comunità di Antiochia. Sarà l’inizio della grande epopea missionaria di Paolo che, per circa vent’anni, con il suo gruppo di collaboratori, percorrerà infaticabilmente i centri strategici del mondo ellenistico del Medio Oriente. Nella sua ansia di portare Cristo ovunque, si propone anche di evangelizzare la Penisola Iberica. Il suo amore a Cristo e al Vangelo culmina con il testamento supremo del martirio, a Roma, intorno all’anno 67.

Una persona che fa la differenza

Difficilmente qualcuno potrà un giorno uguagliare Paolo nella passione per Cristo e il Vangelo. Un “aborto” come apostolo, l’ultimo di loro, che si dichiara indegno di essere chiamato tale (1 Corinzi 15,8-10), in realtà è diventato “il primo dopo l’Unico” (Benedetto XVI). La sua figura di apostolo e la Parola ispirata dalle sue Lettere sono un faro che continua per secoli ad illuminare la Chiesa. È sorprendente constatare come, tantissime volte, una persona, per le sue idee o per la sua personalità, possa cambiare il corso della storia e il suo influsso prolungarsi per secoli. E questo può occorrere sia nel bene che nel male. Gli esempi che la storia ci offre (anche di recente) sono numerosi e alcuni tristemente eloquenti.

Le parole di Paolo

La storia biblica ricorda particolarmente due figure uniche e antagoniste che avranno un influsso straordinario su tutta l’umanità: Adamo e Cristo. Paolo lo espone eloquentemente nella lettera ai Romani: “A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato… Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita.” (5,12.18).

Dio lavora con l’unità

L’unità viene prima della molteplicità: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza” (Genesi 1,26). Un solo uomo è l’immagine di tutta la Trinità (Sant’Agostino). Nel piano di Dio questa sua immagine è un riflesso della profonda solidarietà e comunanza che esiste nel seno della Trinità. Pertanto, mentre gli animali furono suddivisi in varie specie, l’umanità ne forma una sola, sostiene Sant’Agostino. In questa logica, di solito il punto di partenza dell’azione di Dio è l’”unità” per raggiungere la molteplicità e per riportarla all’Unità. “Che tutti siano una cosa sola, come noi (Giovanni 17,11). L’obiettivo è quello espresso nella preghiera del Padre Nostro:  “Come in cielo, così in terra”!

La resposabilità passa attraverso la coscienza umana

Nella storia della salvezza, quando Dio vuole cominciare qualche cosa di nuovo, una nuova tappa, sceglie una persona in particolare, sulla quale concentra la sua azione. Attraverso questo “lievito” moltiplica la sua azione e fa raggiungere la sua grazia alla “moltitudine”. Tutta la responsabilità passa attraverso una coscienza umana che, a volte in forma drammatica, è chiamata a “rispondere” con totale fiducia e disponibilità al Piano di Dio. Come esempi possiamo ricordare: Noè, Abramo e Sara, Giuseppe, Mosè, Giosuè, Samuele, Davide, Elia, i Profeti, Maria, Giovanni Battista, Gesù Cristo, i Dodici… È tremendo pensare che il “sì” di una moltitudine passa misteriosamente attraverso il “sì” di un solo individuo!

L’importanza di dire sì

Attraverso il “sì” di quella persona la benedizione di Dio si prolungherà “fino alla millesima generazione” (Esodo 20,6). Come, in modo simile, un “no” può influenzare anche diverse generazioni (speriamo solo “fino alla terza o quarta!”: Esodo 20,5). È qui dove risiede la fecondità della vocazione di Paolo! Il suo “sì” continua a essere fecondo, è un canale attraverso il quale la benedizione di Dio fluisce, senza cessare, lungo i secoli e i millenni! Misteriosa sapienza di Dio! Felice è il “sì” di Paolo che continua a crescere nel nostro “sì”, nell’accogliere la sua testimonianza.

Alla ricerca di “una sola persona”: di me!

Un solo individuo può fare la differenza, e che differenza, a volte! Pertanto Dio cerca di toccare e conquistare il cuore di una persona per salvare tutto il suo contesto di vita. Sfortunatamente non sempre lo incontra: “Ho cercato tra di loro un uomo che costruisse un muro e si ergesse sulla breccia di fronte a me, ma non ho trovato nessuno” (Ezechiele 22,30). Dio cerca un giusto per salvare i suoi fratelli, ma non trova “nemmeno uno” (Romani 3,10-12; Salmo 14,1-3). Per questo dovrà inviare Suo Figlio.

Dio si rivolge a ciascuno di noi

Oggi Dio si rivolge a ciascuno/a di noi, come una volta a Paolo, per proporci una fecondità di vita incalcolabile. Ogni cristiano, in qualsiasi tipo di vocazione ecclesiale, a un certo punto della vita è chiamato/a a prendere una decisione fondamentale e radicale:
– O optare per un tipo di vita, sulla scia di Paolo e di tanti altri, volando alto al vento dello Spirito, totalmente sedotto/a dalla doppia passione per Cristo e per l’umanità;
– O adottare una vita di basso profilo, navigando a vista, cogliendo le piccole soddisfazioni della vita, diventando “insignificante”.

La scommessa è grande! Dalla nostra risposta dipende la sorte di molta gente! Incontrerà Gesù in noi la generosità e il coraggio per accettare tale sfida?

Dieci parole di Paolo

  • A me, il più piccolo di tutti i santi, fu data la grazia di annunciare ai Gentili l’insondabile ricchezza di Cristo (Efesini 3,8).
  • Mi sono fatto un punto di onore di non predicare il Vangelo dove già era stato invocato il nome di Cristo (Romani 15,20).
  • Annunciare il Vangelo non è motivo di vanto per me: è, prima di tutto, una necessità che mi si impone. Guai a me se non predicassi il Vangelo! (1 Corinzi 9,16).
  • Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti, per guadagnarne il maggior numero possibile (1 Corinzi, 9- 19).
  • Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me. La vita che ora vivo in questo mondo la vivo per la fede nel Figlio di Dio che mi ha amato e volle morire per me (Galati 2,20).
  • Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa (Colossesi 1,24).
  • Quanto a me non voglio gloriarmi se non della croce di Nostro Signore Gesù Cristo attraverso la quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo… difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo (Galati 6, 14.17).
  • Dio mi è testimone che vi amo tutti con la stessa tenerezza di Cristo Gesù (Filippesi 1,8).
  • Ho servito il Signore con ogni umiltà, con lacrime, e in mezzo a prove… e niente di quello che poteva esservi utile ho trascurato (Atti 20, 19-20).
  • Siate miei imitatori come io stesso lo sono di Cristo (1 Corinzi 11,1).

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