“La violenza non è la cura per il nostro mondo frantumato”. Partendo da questa convinzione Papa Francesco ha preparato il suo messaggio per la Giornata mondiale della pace, la 50^. Un anniversario che spinge il Pontefice a soffermarsi “sulla nonviolenza come stile di una politica di pace”. Uno stile basato sulle beatitudini: il discorso della montagna di Gesù “è – secondo il s. Padre – anche un programma e una sfida per i leader politici e religiosi, per i responsabili delle istituzioni internazionali e i dirigenti delle imprese e dei media di tutto il mondo: applicare le Beatitudini nel modo in cui esercitano le proprie responsabilità. Una sfida a costruite la società, la comunità o l’impresa di cui sono responsabili con lo stile degli operatori di pace; a dare prova di misericordia rifiutando di scartare le persone, danneggiare l’ambiente e voler vincere ad ogni costo.
Questo richiede la disponibilità “di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo”. Operare in questo modo significa scegliere la solidarietà come stile per fare la storia e costruire l’amicizia sociale”. Il Papa ricorda ancora che “siamo alle prese con una terribile guerra mondiale a pezzi” e che “è fondamentale percorrere il sentiero della nonviolenza in primo luogo all’interno della famiglia”. Francesco nel suo messaggio ribadisce che “un’etica di fraternità e di coesistenza pacifica tra le persone e tra i popoli non può basarsi sulla logica della paura, della violenza e della chiusura, ma sulla responsabilità, sul rispetto e sul dialogo sincero”. Per questo rinnova il suo “appello in favore del disarmo, nonché della proibizione e dell’abolizione delle armi nucleari: la deterrenza nucleare e la minaccia della distruzione reciproca assicurata non possono fondare questo tipo di etica. Con uguale urgenza supplico che si arrestino la violenza domestica e gli abusi su donne e bambini”.
Il rischio, come purtroppo è accaduto in passato, è che la voce del Papa resti inascoltata. Cosa è possibile fare in concreto? Lo abbiamo chiesto al presidente del Pontificio consiglio Iustitia et Pax, card. Turkson, che ha presentato il messaggio: “Ci sono sempre tantissimi insegnamenti della Chiesa, della fede cristiana che vengono considerati semplici idee, diciamo qualcosa di utopico, che non è reale. Tutto questo invece non è un’idea utopica, può succedere, addirittura forse l’unica soluzione a tutte le esperienze di violenza intorno a noi consiste in questo. Si tratta di esempi che alcuni hanno già seguito, come Ghandi, Martin Luther King, Leymah Gbowee, che ha ottenuto i negoziati per la fine della guerra civile in Liberia. Può essere difficile ma è una via percorribile, l’obiettivo è scuotere la coscienza dell’umanità. Non si possono risolvere le questioni solo con le armi. Ad agosto il Segretario della Nato ha detto che il dialogo non è una strategia; per noi è il contrario. Per noi la vera strategia è questa cultura dell’incontro, del dialogo per trovare vie di pace. Quindi il messaggio promuove questo discorso: essendo cristiani, perché non guardiamo al nostro Maestro Gesù? E’ stato grande modello di non violenza. Perché non considerare la non violenza cristiana come una via percorribile per tutti noi?”.
Sono ipotizzabili iniziative per la Siria, come la grande veglia del 2013?
“Ok, possiamo fare una veglia però dobbiamo parlare a quelli che forniscono le armi. Siria, Yemen, Nord Nigeria… dove sono le fabbriche delle armi? Non esistono lì. Sono altrove. E’ il grande commercio delle armi. Mentre preghiamo dobbiamo cercare, tramite le vie diplomatiche, di intervenire nei Paesi che producono armi. Nei giorni scorsi c’è stato un documentario sulla Bbc che mostrava come i piloti inglesi addestrano quelli sauditi in Yemen. E dava la colpa anche all’Inghilterra. Queste sono le cose su cui dobbiamo un po’ insistere… Sono guerre surrogate”.
Ma quanto è realista, considerando i limiti del sistema diplomatico?
“Paolo VI descriveva la diplomazia come fantasia immaginativa… La via diplomatica ci dà sempre la possibilità di dialogare, di parlare alle persone. Non possiamo mai saltare questa possibilità. Ma al di là di questo quando abbiamo l’occasione di intervenire su quelli che decidono, dobbiamo farlo. C’è anche la necessità di approfondire il concetto di guerra giusta, che è una teoria. Come pure quello di pace giusta”.
C’è la possibilità di esprimere un ripudio della guerra?
“E’ una linea ma nel Catechismo è prevista la possibilità di difendersi da un’aggressione, lo Stato ha il diritto di proteggersi quindi bisogna studiare la questione”.
Siamo di fronte a un pacifismo cattolico?
“Dipende dal senso di questo pacifismo. La non violenza può avere questa forma ma non è completamente uguale al pacifismo, non è la stessa cosa. Quello che proponiamo è il modello di Gesù come quello che ci ispira a percorrere questa strada. La gente potrebbe dire che non è praticabile ma siccome Gesù, e moltissimi altri, lo hanno fatto, allora è una strada percorribile. Manca però un po’ di formazione: secondo la Bibbia la violenza nasce da quello che sta nel cuore. E’ lì che deve nascere la cultura della non violenza, prima di diventare stile di vita. Il nostro mondo conosce semplicemente l’applicazione della violenza e talvolta cerca di giustificarla. Noi diciamo che possiamo dare un contributo come cristiani ed è il nostro Maestro. Non è che il nostro Maestro era pacifista ma aveva un modo di reagire alle istanze di violenza e ciò che proponiamo è semplicemente questo”.
C’è da attendersi un’enciclica sul tema della non violenza?
“Il messaggio di quest’anno è scaturito da un incontro organizzato l’anno scorso a Roma. Il tema era stato suggerito al S. Padre che l’ha fatto suo. Quello di un’enciclica è un desiderio emerso in quello stesso incontro ma non spetta a un dicastero decidere… Spetta al S. Padre, se pensa che possa essere oggetto di approfondimento. Ma forse prima si può prospettare la possibilità di un sinodo su questo argomento, legato anche alla migrazione che il Papa vuole tanto seguire”.
Il cardinal Turkson ha anche parlato del nuovo dicastero sullo sviluppo umano integrale che nascerà a gennaio: “L’accorpamento non è una bocciatura degli altri dicasteri. Siccome nell’enciclica Laudato si’ si parla di ecologia integrale, vogliamo integrare i diversi ministeri della Chiesa mantenendo sempre al centro l’uomo, tutti gli sforzi per vedere come si può promuovere lo sviluppo, il benessere dell’uomo. Stiamo lavorando all’organigramma. Un ufficio farà ricerca e studio: dovremo continuare a preparare i testi, non solo il messaggio per la pace ma anche quello per la quaresima, per malati, per migranti… quindi un ufficio si dedicherà alla preparazione di questi testi. E poi ci sarà anche un ufficio di applicazione nella pratica dei progetti, ad esempio Cor Unum era già coinvolto in tantissimi progetti. Poi qualcosa per la comunicazione. Ho chiesto il permesso a S. Padre di arrivare a Pasqua, il 1. Gennaio è un termine un po’ stretto… Non sarà un conglomerato di uffici, ma una nuova concettualizzazione del ministero della Chiesa nel sociale”.