Gesuiti, padre Sosa indica le priorità: multiculturalità, collaborazione e profondità

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“Collaborazione con gli altri”, non perché si è rimasti pochi, ma perché “la nostra vita sta nel poter collaborare con gli altri”. “Interculturalità“, perché “il vero volto di Dio è multicolore, multiculturale e estremamente vario, Dio non è un Dio omogeneo”. “Profondità intellettuale”, “perché non si tratta di copiare dei modelli, ma di creare. E creare significa comprendere”. Sono questi gli obiettivi che il nuovo generale dei gesuiti, il 68enne venezuelano Arturo Sosa, indica per il cammino della Compagnia di Gesù.

Compagnia che, rimarca, “non ha molti dubbi su quale sia la sua missione: quello che la Congregazione generale 32.ma ha affermato – spiega – lo hanno riaffermato le Congregazioni seguenti ed è già diventato sangue della nostra gente. La grande sfida della Compagnia è ora in che modo ci organizziamo per essere efficaci in questa missione”. (La 32.ma Congregazione generale è quella che nel ’74-75 ha assunto l’impegno della promozione della giustizia, ndr). Sosa – il primo latinoamericano a diventare successore di sant’Ignazio di Loyola, e il primo generale a servire sotto un papa gesuita – ha rilasciato una amplissima intervista, raccolta dall’ufficio comunicazione della 36.ma Congregazione generale, quella che lo ha eletto a metà ottobre, e che sta ora lavorando su nuovo governo e nuovi progetti. La Congregazione è il massimo organo di governo dei gesuiti, alla quale è sottomesso lo stesso generale.

La storia e la prospettiva ecclesiale del 30.mo successore di sant’Ignazio dicono molto sul modo di fare il Papa di Bergoglio e sulla riforma della Chiesa che questi sta cercando di attuare. “Sono – spiega padre Sosa – uno dei tanti gesuiti della Compagnia latinoamericana, che ha cercato di mettere in pratica quello che le Congregazioni hanno detto negli ultimi 40 anni. Lo capisco come un conferma della linea iniziata nella Compagnia al tempo di Arrupe. Capisco questa elezione come una conferma di ciò che dobbiamo continuare nel futuro. Ma io, personalmente, mi ritengo come uno dei molti gesuiti della mia generazione”, e “la mia generazione è stata molto sensibile alla necessità di continuare a costruire il Paese”, “credevamo in un progetto per il paese, per la società”. “Il Concilio ebbe per me molta importanza, fu senza dubbio una grande notizia. Lo abbiamo seguito come un romanzo”, “lo abbiamo seguito passo a passo… In quell’epoca – racconta – vi fu anche l’elezione di padre Arrupe, un’altra boccata di aria nuova. Arrupe venne eletto quando nel mio gruppo stavamo decidendo se entrare nella Compagnia. Nel collegio era un fatto storico il collegamento con le missioni del Giappone e con Ahmedabad, in India. Per questo, l’elezione di un missionario in Giappone fu molto simbolica e importante”.

“Con la conferenza dei vescovi latinoamericani a Medellín“, osserva il nuovo generale, “è accaduto qualcosa di simile come con il Concilio; ne abbiamo vissuto molto da vicino tutta la dinamica e la riflessione. I documenti preparatori di questa conferenza vennero praticamente trasformati da un dinamismo che giungeva dalla base, una specie di grido che andava ascoltato, la gente stessa che diceva l’esigenza del cambiamento. Questo ha significato un grandissimo nutrimento per la Chiesa latinoamericana, e per la Chiesa del Venezuela. Bisogna dire che la Chiesa del Venezuela era una Chiesa molto fragile. E per questo il Concilio fu così importante per noi”. Questo è il contesto in cui si sono calati il Vaticano II e Medellín: queste esperienze, suggerisce Sosa, indicavano “la Chiesa che ha trovato la propria forza nella gente, ha trovato la propria forza nella fede del popolo: di questa fede – spiega il generale – dobbiamo vivere e con essa saremo capaci di generare un’altra Chiesa”.

Padre Sosa racconta anche alcune esperienze tra gli studenti, in particolare a Tachira, 1.000 chilometri da Caracas, dove “la frontiera è qualcosa di completamente artificiale. È certamente giustificata da motivi storici, ma la medesima cultura e la stessa gente, comprese le famiglie, sono distribuite sui due lati”, Venezuela e Colombia. Puntando su questo forte senso di identità, si creò “una zona apostolica, che potesse collegare le due nazioni con diversi tipi di opere proprie della Compagnia quali l’educazione universitaria, primaria e secondaria, il lavoro pastorale, quello con i rifugiati…”. Sosa ricorda poi lo forzo della Conferenza dei Provinciali dell’America Latina (Cpal), di porre fine a una lunghissima tradizione in cui l’America Latina del nord e quella del Cono sud camminavano separate, e la nascita dell’Associazione delle Università, affidata alla Compagnia di Gesù in America Latina (Ausjal). “È stato molto bello partecipare alla sua evoluzione verso una rete effettiva”. “Le reti – commenta padre Sosa – sono particolarmente importanti quando si è alle frontiere, dove le risorse sono molto scarse”.

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