Maria e Giuseppe sono i primi ad abbracciare Colui che viene a dare a tutti noi il 'documento di cittadinanza'“, ovvero Cristo, “che nella sua povertà e piccolezza denuncia e manifesta che il vero potere e l’autentica libertà sono quelli che onorano e soccorrono la fragilità del più debole”. E' quanto afferma Papa Francesco nel corso dell'omelia pronunciata durante la Santa Messa nella Notte di Natale. In una basilica vaticana vestita a festa, il Pontefice ricorda il cammino che Maria e Giuseppe hanno affrontato per raggiungere Betlemme, un viaggio che paragona a quello di tante persone di oggi “che non scelgono di andarsene ma che sono obbligate a separarsi dai loro cari” alla ricerca di “un futuro”. Parla di fede, speranza e carità, una carità che si traduce in accoglienza, ed è chiara la similitudine tra i pastori, a cui è stata annunciata per primi la nascita di Cristo, e gli ultimi dei nostri giorni, ovvero i migranti e i clochard che vivono nelle nostre stesse città. E ai tanti pellegrini che affollano San Pietro invita a rivolgersi al bambinello così: “Ti chiediamo che il tuo pianto ci svegli dalla nostra indifferenza, apra i nostri occhi davanti a chi soffre”.
Famiglie in cammino
Papa Bergoglio esordisce citando il Vangelo proclamato nel corso della celebrazione, sottolineando come l'evangelista Luca, nel descrivere la nascita di Cristo, con semplicità e chiarezza ci immerge “nell’avvenimento che cambia per sempre la nostra storia. Tutto, in quella notte, diventava fonte di speranza”. Si sofferma poi sul cammino che Maria e Giuseppe hanno intrapreso per raggiungere Betlemme, un viaggio “per niente comodo né facile per una giovane coppia che stava per avere un bambino”. E aggiunge: “Nel cuore erano pieni di speranza e di futuro a causa del bambino che stava per venire”, ma i loro passi, fa notare il Pontefice, “erano carichi delle incertezze e dei pericoli propri di chi deve lasciare la sua casa”. Si ritrovarono così in una terra “che non li aspettava, dove per loro non c’era posto”. Ma è prorpio “in mezzo all’oscurità di una città che non ha spazio né posto per il forestiero che viene da lontano, che sembrerebbe volersi costruire voltando le spalle agli altri – prosegue il Papa -, che si accende la scintilla rivoluzionaria della tenerezza di Dio. A Betlemme si è creata una piccola apertura per quelli che hanno perso la terra, la patria, i sogni; persino per quelli che hanno ceduto all’asfissia prodotta da una vita rinchiusa“. In questo cammino verso Betlemme, Bergoglio vede i passi “di intere famiglie che oggi si vedono obbligate a partire”; le orme “di milioni di persone che non scelgono di andarsene ma che sono obbligate a separarsi dai loro cari, sono espulsi dalla loro terra”. E aggiunge: “In molti casi questa partenza è carica di speranza, di futuro”. Tuttavia, ammonisce, in molti altri casi “questa partenza ha un nome solo: sopravvivenza”. Un viaggio per sopravvivere, rimarca il Santo Padre, “agli Erode di turno che per imporre il loro potere e accrescere le loro ricchezze non hanno alcun problema a versare sangue innocente”.
Una gioia da condividere
“Maria e Giuseppe, per i quali non c’era posto, sono i primi ad abbracciare Colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza – aggiunge -. Colui che nella sua povertà e piccolezza denuncia e manifesta che il vero potere e l’autentica libertà sono quelli che onorano e soccorrono la fragilità del più debole”. Quella notte, Dio, che non ha trovato un posto per nascere, spiega il Papa, “viene annunciato a quelli che non avevano posto alle tavole e nelle vie della città”: i pastori. La società dell'epoca li emarginava: “La loro pelle, i loro vestiti, l’odore, il modo di parlare, l’origine li tradiva. Tutto in loro generava diffidenza. Uomini e donne da cui bisognava stare lontani, avere timore; li si considerava pagani tra i credenti, peccatori tra i giusti, stranieri tra i cittadini”. Ma è proprio a loro, agli ultimi, che l'angelo annuncia la nascita di Gesù. “Ecco la gioia che in questa notte siamo invitati a condividere, a celebrare e ad annunciare – prosegue il Papa -. La gioia con cui Dio, nella sua infinita misericordia, ha abbracciato noi pagani, peccatori e stranieri, e ci spinge a fare lo stesso”.
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Sperimentare nuove forme di relazione
“La fede di questa notte ci porta a riconoscere Dio presente in tutte le situazioni in cui lo crediamo assente”, dice il Pontefice, che aggiunge: “Egli sta nel visitatore indiscreto, tante volte irriconoscibile, che cammina per le nostre città, nei nostri quartieri, viaggiando sui nostri autobus, bussando alle nostre porte“. Ed è questa stessa fede a spingerci verso “una nuova immaginazione sociale, a non avere paura di sperimentare nuove forme di relazione in cui nessuno debba sentire che in questa terra non ha un posto”. E, citando una celebre frase di Papa Wojtyla, afferma: “Natale è tempo per trasformare la forza della paura in forza della carità, in forza per una nuova immaginazione della carità. La carità che non si abitua all’ingiustizia come fosse naturale, ma ha il coraggio, in mezzo a tensioni e conflitti, di farsi terra di ospitalità. Ce lo ricordava Giovanni Paolo II: 'Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo'”. “Nel Bambino di Betlemme – prosegue Bergoglio -, Dio ci viene incontro per renderci protagonisti della vita che ci circonda”. Si offre per farsi prendere in braccio, e con lui abbracciare “l’assetato, il forestiero, l’ignudo, il malato, il carcerato. In questo Bambino, Dio ci invita a farci carico della speranza“.
Protagonisti della vita
Infine, l'invito alla preghiera e a rivolgersi al Bambinello, che “ci invita a farci sentinelle per molti che hanno ceduto sotto il peso della desolazione che nasce dal trovare tante porte chiuse“, a pregarlo con queste parole: “Ti chiediamo che il tuo pianto ci svegli dalla nostra indifferenza, apra i nostri occhi davanti a chi soffre. La tua tenerezza risvegli la nostra sensibilità e ci faccia sentire invitati a riconoscerti in tutti coloro che arrivano nelle nostre città, nelle nostre storie, nelle nostre vite. La tua tenerezza rivoluzionaria ci persuada a sentirci invitati a farci carico della speranza e della tenerezza della nostra gente“.