Mons. Ibrahim Faltas, Vicario della Custodia di Terra Santa, racconta dalle colonne de L’Osservatore Romano la storia di Sameera, 15enne arrivata da Gaza per essere curata insieme al fratellino 12enne ad altri 30 minori e ora in cura presso l’ospedale pediatrico Meyer di Firenze.
Da Gaza al Meyer: la storia della giovane Sameera
Sono trascorsi oltre 130 giorni dal 7 ottobre e da quando la Terra Santa è sconvolta dall’inferno della guerra. Abbiamo ascoltato i numerosi appelli di Papa Francesco che non smette di pregare per tutti i Paesi in guerra e implora di salvare vite umane. Sua Santità fa sentire la sua voce autorevole e paterna perché questa guerra deve essere sconfitta. Il diritto assoluto e primario alla pace dovrebbe avere una sola voce, la voce dell’umanità intera e unita. Invece prevale la voce assordante della guerra.
Dal 29 gennaio sono arrivate in Italia più di cento persone da Gaza. Sono arrivati bambini e adulti, sono arrivate persone, ognuna di loro con una storia particolare. Tutti però con le stesse paure, con la stessa sofferenza e con la stessa speranza.
Ho incontrato i bambini arrivati all’ospedale Bambino Gesù di Roma e al Meyer a Firenze. Sameera ha 15 anni, è minuta e delicata, quando racconta la sua storia ha la maturità e la determinazione di una donna adulta. Grazie a Dio i suoi problemi fisici sono curati e risolti. È arrivata in compagnia di sua madre e di suo fratello di 12 anni. La mamma ha il viso scavato e gli occhi tristi e profondi. Ha lasciato a Sameera il compito di presentare la loro storia familiare: hanno lasciato a Gaza il padre e tre sorelle.
Fino ad allora, prima del loro arrivo in Italia avevano affrontato insieme la guerra, le difficoltà, le paure. La possibilità di poter far partire metà della famiglia per far curare Sameera è stata vista come un’opportunità di vita, è stata una scelta di vero amore. Sameera, sua madre e suo fratello da tre giorni non hanno notizie dei loro cari rimasti a Gaza. A tante sofferenze si aggiunge la preoccupazione per chi è rimasto. Sameera, nonostante l’affettuosa accoglienza, non riesce a mangiare perché vorrebbe avere vicino suo padre e le sue sorelle.
Altri bambini, arrivati con uno dei genitori, mi hanno chiesto di riunire le loro famiglie. Non chiedono altro perché non ci sono segnali che questo orrore della guerra finisca presto. Non hanno speranza di sopravvivenza nella loro terra di origine ma, pur di poter stare tutti insieme, sarebbero disposti a tornare a Gaza!
Purtroppo le mediazioni e le trattative per una tregua umanitaria sono bloccate e nella zona di Rafah, la via d’uscita verso l’Egitto, si sono dirette 1,4 milioni persone con la speranza di ricevere aiuto e protezione. Va tutelata la pace fra Israele ed Egitto, in seguito agli accordi di Camp David del 1978. Questi accordi rendono Rafah l’unica strada per tornare a vivere, per la salvezza di altri esseri umani ancora e per dare ai bambini la possibilità di riunire il proprio nucleo familiare. La comunità internazionale deve almeno garantire a queste vite la possibilità di salvarsi, assicurando alla zona di Rafah la protezione da attacchi e bombardamenti.
Le voci di tutti i bambini, di ognuno di loro e in ogni angolo della terra, devono essere ascoltate. Sono voci di vite fragili e indifese che implorano chi ha il potere di fermare la guerra, la morte, la distruzione. Ancora una volta queste voci non riescono a superare il muro del silenzio di adulti sordi, indifferenti al bene e distratti dal male.