Francesco lo dice con la sua consueta naturalezza: “Il dialogo interreligioso è un fatto comune e naturale in Argentina. Ho frequentato la scuola pubblica statale, tranne l’ultimo anno delle elementari quando per una malattia di mia madre fui mandato coi miei fratelli in un collegio salesiano”, racconta Jorge Mario Bergoglio e aggiunge: “Nella scuola pubblica statale, in quasi tutte le classi c’erano tre o quattro amici ebrei, e li chiamavano: “Ehi tu, russo!”. O qualche dicevamo: “Ehi tu, turco!”. Questo succedeva molto di più nella regione del nordest, che scherzando noi chiamavamo “Turkestan”, per il grande numero di immigrati dal Medio Oriente, e siccome arrivavano con il passaporto dell’impero ottomano, li chiamavamo tutti “turchi”. Vivevamo insieme. Rispetto al dialogo interreligioso, si trattava di un fatto del tutto naturale”.
Contro la cultura dello scarto
Dalla parte degli esclusi
La sua biografia offre spunti di comprensione per la “rivoluzione” che sta realizzando sul Soglio di Pietro. Bergoglio ha studiato e si è diplomato come tecnico chimico, ma poi ha scelto il sacerdozio ed è entrato nel seminario di Villa Devoto. Da arcivescovo della capitale ha vissuto l’esperienza traumatica del default del 2001, con le strade invase dal rumore assordante delle “cacerolas”. Fu accanto agli argentini che protestano contro le politiche neoliberiste e che scesero in piazza a milioni battendo sulle pentole. Erano gli anni del fallimento dell’Argentina e l’arcivescovo di Buonos Aires criticò apertamente le scelte di Nestor Kirchner, ritenendole incapaci di risolvere la crisi, anzi, colpevoli di aggravare la povertà nel quale erano confinati troppi argentini. Non appena il cardinale protodiacono Jean-Louis Touran ha annunciato al mondo il nome del nuovo Pontefice, i media argentini hanno rievocato i rapporti complicati con la famiglia Kirchner. E cioè con l’attuale presidente argentino, Cristina Fernández de Kirchner e con il suo predecessore, il marito Nestor Carlos nel 2010. In particolare il Clarin e la Nacion hanno ricordato che Nestor Kirchner definì Bergoglio il “vero rappresentante dell’opposizione”. Severo gesuita dalle sobrie abitudini, amava girare per la sua città in autobus, vestito da semplice prete. A 35 anni era già il Provinciale, cioè il capo dei gesuiti d’Argentina. Nella prova terribile della dittatura militare, Bergoglio si mosse per salvare preti e laici dai torturatori. Di lui si diceva prima del conclave: “Gli basterebbero quattro anni per cambiare le cose”. Pessimi i rapporti con Menem e Duhalde, gelidi con de la Rua (Bergoglio andò a trovarlo il 12 dicembre 2000 per avvertirlo del rischio di una rivolta popolare, scoppiata un anno dopo), freddi appunto con Kirchner, che non ha seguito tra la folla sulla piazza della Casa Rosada (la cattedrale era stracolma) la messa celebrata da Bergoglio in morte di Wojtyla. Buone invece le relazioni con Luis D’Elia e il movimento dei piqueteros: un giorno Bergoglio chiamò il ministro dell’Interno per lamentarsi della polizia che manganellava una donna inerme.