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Fede, sviluppo e tutela ambientale: la festa degli allevatori

Tornare al rispetto che gli allevatori e i coltivatori hanno sempre avuto per il creato e che si è perso con la civiltà industriale. “Solo così possiamo salvarlo e consegnarlo alle nuove generazioni”. Con queste parole il cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica di S. Pietro, ha salutato i rappresentanti dell’Associazione italiana allevatori e della Coldiretti presenti in piazza Pio XII per onorare il santo patrono degli animali, Antonio Abate.

Una piazza trasformata in una sorta di fattoria in miniatura, con mucche, asini, cavalli, muli, capre, pecore, maiali, galline e oche che sono poi stati benedetti dal porporato. Il card. Comastri ha prima celebrato la Messa nella Basilica, alla quale hanno partecipato anche i membri della confraternita di San Calogero eremita, della parrocchia di Gesù Maestro di Fonte Nuova, con la statua di S. Antonio. Poi ha visitato la “stalla sotto il cielo” e si è intrattenuto a parlare con alcuni allevatori. Un evento, giunto alla decima edizione, che quest’anno, come hanno sottolineato il presidente dell’Associazione allevatori Roberto Nocentini e quello di Coldiretti Roberto Moncalvo, è stato dedicato particolarmente agli imprenditori colpiti dal terremoto. A fare da cornice all’appuntamento la fanfara a cavallo dell’8° Reggimento Lancieri di Montebello. “Una testimonianza del nostro mondo, un giorno particolare, legato alla devozione” ha sottolineato Nocentini. Una giornata di fede ma anche l’occasione per richiamare i tanti problemi che vivono gli agricoltori italiani che invece sono (o dovrebbero essere) un baluardo nella difesa dell’ambiente.

Lo ha messo in evidenza Moncalvo: “In tantissimi comuni si celebra S. Antonio. E’ un’usanza che non vogliamo perdere perché siamo convinti che intorno all’allevamento italiano passa il futuro dei nostri territori”. Secondo il presidente di Coldiretti c’è l'”urgenza di salvare le stalle italiane. Abbiamo perso 2 milioni di animali negli ultimi 10 anni, tantissime stalle hanno chiuso, soprattutto nelle aree montane. Dobbiamo lavorare perché gli agricoltori abbiano il giusto prezzo per quello che fanno. Perché quando chiude una stalla, non chiude solo un’attività economica: chiude un sistema fatto di biodiversità, di prati, di campi e di tante persone, tante famiglie che con il loro lavoro tutelano i nostri territori al rischio dell’abbandono, dello spopolamento, degli incendi, del dissesto idrogeologico”.

 

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