La fame del pane spirituale e di quello materiale

Il racconto della moltiplicazione dei pani è l'unico miracolo che viene raccontato da tutti i vangeli

Foto di Manfred Richter da Pixabay

Con questa domenica la liturgia interrompe la lettura del vangelo di Marco, quando eravamo arrivati al racconto della moltiplicazione dei pani, per inserire la lettura della versione giovannea di questo miracolo. Durante cinque domeniche ascolteremo il capitolo 6 del vangelo di Giovanni, il capitolo più lungo e uno dei più densi dei quattro vangeli. La moltiplicazione dei pani è l’unico miracolo che viene raccontato da tutti i vangeli. Lo troviamo sei volte, addirittura, perché viene raddoppiato in Marco e Matteo. Questo ci fa capire l’importanza che i primi cristiani hanno dato a questo evento, così sensazionale.

Il capitolo 6 di Giovanni è particolarmente ricco e profondo dal punto di vista simbolico. Questo “segno” (così chiama Giovanni i miracoli) è meditato ed elaborato con grande cura, come d’altronde egli fa con tutti i sette “segni” che raccoglie nel suo vangelo. Al centro del racconto troviamo il “pane”, menzionato 21 volte (su 25 in tutto il vangelo di Giovanni). Nel sottofondo della narrazione, e del discorso che ne segue nella sinagoga di Cafarnao, troviamo il riferimento all’eucaristia. Ricordiamo che Giovanni non racconta l’istituzione dell’eucaristia, rimpiazzata dalla lavanda dei piedi. Egli presenta qui la sua meditazione sull’eucaristia.

Il rischio del riduzionismo

Prima di accostarci al testo, mi pare opportuno sottolineare la necessità di evitare alcuni possibili riduzionismi:

1) Concentrare la nostra attenzione quasi esclusivamente sull’aspetto miracoloso, cioè, sulla dimensione storica, sul “fatto” in sé. I quattro evangelisti ne danno versioni con dettagli assai diversi. Questo ci fa capire che ognuno di essi ne fa già una rilettura in funzione della propria comunità, per cui il “fatto” viene intrecciato con la sua interpretazione catechetica;

2) Ritenere dal racconto solo la dimensione simbolica, svuotando il “segno” del suo riferimento storico, riducendolo così ad una “parabola”. Senza la veracità del miracolo non si spiega perché gli evangelisti e la prima comunità cristiana abbiano dato tanta importanza a questo “segno”;

3) Interpretare il racconto esclusivamente in chiave eucaristica. Tutti gli evangelisti collegano il miracolo all’eucaristia, ma la narrazione ha una portata più ampia e più ricca. Nel testo di Gv 6 il riferimento esplicito all’eucaristia appare solo verso la fine del discorso di Gesù;

4) Fare una lettura univoca del testo, cioè, solo “religiosa” (il miracolo come figura del cibo spirituale), o unicamente “materiale” (come un semplice invito alla condivisione e alla solidarietà).

Alcuni elementi simbolici

1) La nuova Pasqua. “Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei”. Il riferimento alla Pasqua non è solo una annotazione temporale, ma ha una portata simbolica. Questa “grande folla” non va più verso Gerusalemme per celebrare la Pasqua, ma verso Gesù. Egli è la nuova Pasqua che dà inizio all’esodo definitivo della nostra liberazione.

2) Il nuovo Mosè. “Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli”. Questo salire sul monte (prima con i discepoli e poi da solo) ci ricorda Mosè. L’accostamento è ancora più evidente se teniamo conto che subito dopo segue il racconto di Gesù che cammina sul mare (6,16-21). Gesù è il nuovo Mosè, il nuovo profeta e condottiere del popolo di Dio che sta per offrire la nuova manna.

3) Il vero Pastore. “Fateli sedere. C’era molta erba in quel luogo”. Questa annotazione, oltre ad essere un riferimento alla primavera e al periodo della Pasqua, ci rimanda al salmo 23: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare”. Gesù che riunisce attorno a sé la folla e intuisce i suoi bisogni è il Pastore promesso da Dio (Ezechiele 34,23).

4) La nuova manna. “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto”. La manna non doveva essere raccolta per il giorno dopo, eccetto per il giorno di sabato (Esodo 16,13-20). Qui, invece, Gesù raccomanda di raccogliere i pezzi avanzati. Non tanto affinché nulla vada sprecato, ma come allusione all’eucaristia. “Li raccolsero e riempirono dodici canestri”, tanti come le dodici tribù d’Israele, come le ore del giorno e i mesi dell’anno.

Due spunti di riflessione

1) Convertirsi ad una visione globale del Regno. Notiamo, prima di tutto, che Gesù si preoccupa non solo della fame spirituale della gente ma anche di quella fisica. Non possiamo ignorare che, oltre alla fame della Parola, c’è pure una drammatica fame di pane nel mondo. Il Regno di Dio concerne la totalità della persona. Nella nostra mentalità perdura tuttavia una visione dualista della vita, una separazione tra la sfera spirituale e quella materiale. “La gente va in chiesa per pregare; per mangiare ognuno ritorni a casa sua e si arrangi!”: questa è la nostra logica, molto pratica. Ed era quella degli apostoli, come vediamo nella versione del racconto del vangelo di Luca, dove essi dicono a Gesù: “Si fa tardi, congeda la folla perché vada nei villaggi per alloggiare e trovare cibo”. Gesù però sembra mancare di senso pratico e risponde loro: “Voi stessi date loro da mangiare” (Luca 9,12-13). La Chiesa non può estraniarsi dalle condizioni in cui vive l’umanità “caduta nelle mani dei briganti”!

2) Dall’economia del commercio a quella del dono. “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare? Diceva così [Gesù a Filippo] per metterlo alla prova”. Perché lo chiede proprio a Filippo? Perché è un tipo pratico e sveglio (vedi Gv 1,46; 14,8-9). Infatti, fa subito i conti: “Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo”. Duecento denari erano tanti, se teniamo conto che un denaro era il salario giornaliero di un bracciante. A questo punto interviene Andrea, suo amico e compaesano, dato che Gesù aveva chiesto “dove” si poteva trovare del pane: “C’è qui un ragazzo che ha [da vendere?] cinque pani d’orzo e due pesci”, ma rendendosi conto della figuraccia, aggiunge subito: “ma che cos’è questo per tanta gente?”. Ma 5+2 fa 7, il numero della pienezza. Per Gesù basta e avanza. E il miracolo avviene!

Di tali miracoli oggi se ne vedono pochi. Come Gedeone, potremmo chiederci anche noi: “Dove sono tutti i prodigi che i nostri padri ci hanno narrato?” (Giudici 6,13). Ma se oggi non avvengono i “miracoli”, non è perché è diventata “troppo corta la mano del Signore.” (Isaia 59,1). Egli vorrebbe operare tanti miracoli: il miracolo di far cessare la fame nel mondo, di far sparire le guerre che uccidono i suoi figli e figlie e sfigurano la sua creazione, di instaurare definitivamente un mondo nuovo dove regna la pace e la giustizia… C’è però un problema. Dio, dopo aver creato l’uomo, si è proposto di non far più niente senza la cooperazione degli uomini. Il Signore vorrebbe operare miracoli, ma gli mancano gli ingredienti che solo noi possiamo offrire. Gli mancano i cinque pani d’orzo e i due pesci, che noi ci ostiniamo a voler vendere, invece di condividerli!

Per la riflessione settimanale

1) Quali sono i “cinque pani d’orzo e i due pesci” che il Signore mi sta chiedendo per cambiare la mia vita?
2) Quale logica predomina nella mia vita: quella dell’accumulo o della solidarietà?
3) Per meditare:
– “Se condividiamo il pane del cielo, come non condivideremo quello della terra?” (Didachè);
– “Il pane dei bisognosi è la vita dei poveri, colui che glielo toglie è un sanguinario. Uccide il prossimo chi gli toglie il nutrimento, versa sangue chi rifiuta il salario all’operaio.” (Sir 34,25-27);
– “Nel mondo c’è pane sufficiente per la fame di tutti, ma insufficiente per l’avidità di pochi” (Gandhi).