Non tutti i prigionieri sono uguali. Ci sono quelli dietro le sbarre, costretti a vivere in anguste celle. E poi ci sono quelli la cui prigionia è mentale. Sono le vittime delle dipendenze.
Sono in tanti, un vero e proprio esercito di disperati. Molti di loro hanno i volti consumati dalle droghe o gli occhi scavati dal tempo trascorso davanti alle slot machine. Ma molti altri hanno una parvenza insospettabile. E troppo spesso si ignora che dietro volti puliti si cela la reclusione della propria volontà in atteggiamenti che portano al degrado dell’esistenza.
Droga, alcol, gioco d’azzardo, pornografia. Le dipendenze hanno diversi tentacoli. Con il sostegno di persone esperte e con l’amore di Dio si possono però tagliare. Lo testimoniano i ragazzi che ogni anno, il 26 dicembre, festeggiano la Festa del Riconoscimento, conclusione del loro percorso riabilitativo nelle comunità terapeutiche della Comunità Papa Giovanni XXIII. Ospite della festa quest’anno sarà mons. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, che In Terris ha intervistato.
Eccellenza, quanto è importante oggi occuparsi del tema delle dipendenze?
“È sempre stato importante. Ma oggi lo è ancora di più, perché le dipendenze sono più invisibili, meno evidenti, e quindi più pericolose. Il fatto che gli effetti delle dipendenze si manifestino di meno, oppure che facciamo finta di non riconoscerli, rende questo tema ancora più subdolo, difficile da affrontare. Un ruolo importante lo svolge la Chiesa, in questo campo deve dimostrare coi fatti la sua sensibilità al valore della vita: le dipendenze rovinano le vite, le spengono, le annichiliscono. L’amore di Dio libera dalla schiavitù. Ecco, le vittime di dipendenze sono i nuovi schiavi verso cui dobbiamo farci prossimi”.
Quali sono le dipendenze che definisce invisibili?
“Alcune droghe, le più note, rappresentano la punta di un iceberg. C’è poi il sommerso delle dipendenze, che è appunto invisibile. Penso alle droghe chimiche, alle pasticche, al ritorno dell’eroina. Il fatto che non si muoia più per strada come vent’anni fa, non significa che il problema non esista. Le conseguenze, purtroppo, dimostrano che il fenomeno è ancora terribile: basti pensare agli sballi del sabato sera, alle violenze perpetrate per effetto di sostanze stupefacenti. E poi ci sono altre dipendenze ancora più invisibili: quella dal gioco, dietro la quale si cela un vergognoso circuito di interesse economico, che si consuma non solo davanti alle macchinette nelle sale slot, ma anche attraverso internet. A proposito della Rete, c’è poi la dipendenza dalla pornografia, che condiziona il modo in cui si vive la propria affettività. Si tratta di dipendenze invisibili, ma non per questo meno pervasive e distruttive”.
Ha fatto riferimento a quando la droga uccideva i giovani per la strada. Lei è stato viceparroco per tutti gli anni ’80 e ’90 a Trastevere, un quartiere difficile da questo punto di vista. Cosa le ha lasciato quella esperienza?
“L’insegnamento che non bisogna perdere tempo. Nel 1982 occupammo un palazzo con una quarantina di tossicodipendenti del quartiere, figli di famiglie trasteverine. Fu un modo eclatante per attirare l’attenzione, un grido d’aiuto di questi disperati alle istituzioni affinché fossero aiutati ad uscire dalla droga. Ebbene, la maggior parte di questi ragazzi è morta. Purtroppo si arrivò troppo tardi ad affrontare seriamente il problema. Quindi ciò che mi ha lasciato questa esperienza è che la droga brucia la vita e che non c’è tempo da perdere”.
Il fatto che l’eroina stia tornando è dovuto a una sottovalutazione del fenomeno?
“Insisto: l’eroina sta tornando perché è più invisibile. La presunzione della dipendenza è che essa possa essere governata. Non è così, la dipendenza è molto più pervasiva della nostra volontà. Se non c’è una rete di solidarietà, ci saranno sempre più prigionieri di dipendenze”.
C’è il rischio che i giovani possano subire il fascino oscuro dei protagonisti di alcune serie tv dediti alla criminalità e al consumo di droghe?
“Vedo pochissima tv, ma certamente non è educativo nei confronti dei giovani tracciare profili romantici dei criminali”.
Si è tanto discusso durante questa legislatura della legalizzazione della cannabis…
“Nel dibattito che questa proposta di legge ha scaturito, secondo me sono stati poco considerati gli effetti del consumo di droghe. Tutti, sia i favorevoli che i contrari alla legalizzazione, dovrebbero essere d’accordo nel dare priorità a politiche serie dedicate ai giovani, per aiutarli a vincere la droga”.
In questo senso è importante il lavoro svolto dalla Comunità Giovanni XXIII. Oggi Lei partecipa alla Festa del Riconoscimento. Qual è il messaggio di questa iniziativa?
“Che è possibile affrontare e risolvere il problema della droga. Il messaggio che rivolge la Comunità Giovanni XXIII è che, se aiutate, le vittime di dipendenze possono affrancarsi. È un messaggio che andrebbe amplificato, dando valore allo sforzo dei ragazzi usciti dal percorso di terapia”.