Siamo ormai a Gerusalemme da tre giorni. Domenica scorsa abbiamo percorso l’ultimo tratto di strada, salendo da Gerico a Gerusalemme, accompagnati dai Dodici e dalla folla di pellegrini. Tra questi c’era anche Bartimeo, il cieco di Gerico, guarito da Gesù domenica scorsa. Il Signore trascorre gli ultimi giorni della sua vita tra il Tempio e Betania, un villaggio nella periferia della città. Durante il giorno rimane nel Tempio, dove insegna alla gente che lo ascolta volentieri (11,18). Alla sera, con i suoi, si ritira a Betania, ospite di amici.
Siamo al terzo giorno del suo soggiorno nella città santa, la meta finale del suo ministero. Questa giornata è particolarmente intensa e inizia con un segno: l’albero di fichi seccato fin dalle radici (11,20-26), simbolo di una vita sterile e della potenza della preghiera. Nel Tempio, Gesù si scontra con i capi religiosi, che contestano la sua autorità di insegnare in quel luogo (11,27-33). A loro, Gesù racconta la parabola dei vignaioli assassini (12,1-12). Il destino di Gesù è ormai segnato: le autorità hanno deciso di eliminarlo e cercano solo l’occasione e il motivo opportuni. Seguono quindi una serie di tranelli da parte loro per metterlo in difficoltà: prima sul tributo al Cesare (12,13-17) e poi sulla risurrezione dei morti (12,18-27). Questo è il contesto del brano evangelico di oggi.
Spunti di riflessione
- Smarriti nel labirinto delle leggi.
“Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva risposto loro, gli domandò: ‘Qual è il primo di tutti i comandamenti?’” Secondo Matteo e Luca, anche questo dottore della Legge voleva mettere alla prova Gesù (Matteo 22,35; Luca 10,25). Qual era, in questo caso, il tranello? Per la mentalità comune dell’epoca, il grande comandamento era il terzo del decalogo: l’osservanza del sabato, poiché Dio stesso lo aveva osservato dopo il “lavoro” della creazione (Genesi 2,2). Gli avversari si aspettavano quindi che Gesù rispondesse in questo modo, per poi accusarlo: “Allora perché tu e i tuoi discepoli non rispettate il sabato?”. Per l’evangelista Marco, invece, la domanda dello scriba era sincera e pertinente. Con l’intento di regolare tutta la vita secondo la legge di Dio, i rabbini avevano individuato 613 precetti nella Torà (Pentateuco), oltre ai dieci comandamenti: 365 negativi (divieti, corrispondenti ai giorni dell’anno solare) e 248 positivi (prescrizioni, corrispondenti agli organi del corpo umano, secondo la credenza dell’epoca). Un autentico labirinto! In un simile groviglio di leggi si sentiva il bisogno di discernere ciò che fosse veramente essenziale.
- L’amore è la legge!
“Gesù rispose: ‘Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza’”. Gesù non cita nessuno dei dieci comandamenti, ma dal piano legalistico si eleva al livello dell’amore. Riporta la professione di fede dello “Shemà Israel”, “Ascolta, Israele” (Deuteronomio 6,4-5, vedi prima lettura), la preghiera che ogni ebreo recita tre volte al giorno (al mattino, alla sera e prima di coricarsi). “Il secondo è questo: ‘Amerai il tuo prossimo come te stesso’. Non c’è altro comandamento più grande di questi.” Al “primo” comandamento Gesù aggiunge un “secondo” tratto dal Levitico 19,18. Questo abbinamento di testi della Torà è originale, ed è proprio di Gesù. Qual è il rapporto tra i due comandamenti? S. Agostino commenta: “L’amore di Dio è il primo che viene comandato; l’amore del prossimo è il primo però che si deve praticare”. Nel Nuovo Testamento tale sintesi della legge nei due comandamenti non è menzionata altrove e sembra sbilanciarsi verso l’amore del prossimo: “Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri” (Gv 15,17). Per san Paolo “tutta la legge trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso” (Gal 5,14) e “il pieno compimento della legge è l’amore” (Rom 13,10). L’amore per il fratello è lo specchio e la prova dell’amore di Dio. Chi dice di amare Dio e non ama il fratello è un bugiardo (1 Gv 4,20-21). I “due amori” sono, in realtà, inseparabili.
- “Amerai!”: dare un cuore alla legge
In entrambi i testi citati da Gesù, la parola chiave è l’imperativo “Amerai!”. L’amore diventa così la chiave della Legge. Gli dèi pagani desideravano adoratori sottomessi, degli schiavi; il Dio di Gesù Cristo, invece, vuole figli liberi, capaci di amare. Il verbo “amare” (ahav in ebraico) appare nell’Antico Testamento 248 volte (Fernando Armellini). È una cifra simbolica, poiché corrisponde al numero dei precetti positivi (cose da fare), secondo la tradizione rabbinica. Potremmo dire che l’unica cosa da fare sempre (365 giorni all’anno!) è amare. La Torà, uscita dal cuore di Dio, aveva perso il suo cuore e si era trasformata in un giogo pesante. Gesù è venuto per riportarla al cuore. Ora, nel cuore della Legge possiamo ritrovare il Suo Cuore!