La notizia iniziò a circolare più o meno 3 anni fa, nel 2014. Già allora, le voci sulla possibile beatificazione di Takayama Ukon, samurai giapponese del XVI secolo, avevano iniziato a rincorrersi, lasciando presagire un’imminente cerimonia per elevare agli altari il signore feudale che, seguendo le orme di san Francesco, abbandonò le sue ricchezze per farsi povero come Cristo. Esattamente un anno fa, il 22 gennaio 2016, Papa Francesco ha firmato il decreto con il quale concedeva l’autorizzazione a concludere la prima fase del percorso verso la santità. Ora, finalmente, si ha anche una data, annunciata all’Agenzia Fides dal vescovo di Niigata, Isao Kikuchi: la cerimonia si terrà il 7 febbraio prossimo, nella città di Osaka, presieduta dal prefetto della Congregazione vaticana per le Cause dei Santi, Angelo Amato, per quello che si annuncia essere un evento di grande risonanza per il Giappone, essendo prevista anche una diretta tv. Ma soprattutto, come auspicato dalla Chiesa nipponica, la speranza è che possa essere un momento di fede e di unità, oltre che di dialogo, fra professanti del medesimo credo, separati da distanze prettamente geografiche.
Povero come Cristo
Non sono trascorsi molti giorni dall’uscita del film “Silence”, di Martin Scorsese, una pellicola attesa, accompagnata dal suo carico emotivo legato al martirio dei cristiani in terra giapponese, ed ecco che arriva, direttamente dall’arcipelago nipponico, la data ufficiale nella quale il “Samurai di Cristo” verrà proclamato beato. Una storia davvero speciale quella di Ukon, nobile di elevato rango sociale, signore feudale, politico e militare, capace di rinunciare agli agi della sua posizione per abbracciare la fede cristiana, conosciuta all’età di 12 anni (anche grazie agli insegnamenti di suo padre, il quale finanziava le missioni gesuite in Giappone) e professata per tutta la vita, con la perfetta consapevolezza delle feroci repressioni che, a più riprese, l’Impero metteva in atto nei confronti di questa religione. Persecuzioni particolarmente aumentate con la salita al potere dello shogun Toyotomi Hideyoshi il quale, nel 1587, bandì i missionari gesuiti dall’isola di Kyushu. Una decisione che costrinse Ukon, assieme a tanti altri cristiani giapponesi, a fuggire nelle Filippine, esiliato, povero fra i poveri, con solo il ricordo di quella che fu la sua vita prima: lui ne aveva scelta una nuova, abbandonando la via della spada, per seguire la strada della Croce.
Una sola fede
Takayama morì nel 1615, poco dopo lo sbarco nell’arcipelago filippino, e, quasi subito, venne acclamato come santo dalle comunità cristiane d’Oriente. Ma le lancette del tempo dovevano compiere ancora molti giri, prima che giungesse il 1965, anno nel quale fu possibile intraprendere il percorso verso il riconoscimento delle virtù di Ukon. Nel mezzo, secoli di lontananza, geografica e culturale, fra il Giappone e l’Occidente cristiano, fatti di politiche contrastanti, basate su presupposti e principi differenti. Questa, finalmente, potrebbe essere l’occasione definitiva per avvicinare due sponde del cristianesimo. E, allo stesso tempo, per parlare della fede che, al di là di ogni confine, coincide con il medesimo messaggio di speranza.