“Dialogo nella differenza”. E’ il messaggio che ha lasciato Papa Francesco nella sua visita all’Università Roma 3, la più giovane della Capitale. Al suo arrivo il Pontefice ha fatto un lungo giro all’esterno del Rettorato per stringere mani, salutare studenti (tra i quali si è mischiato anche l’ex sottosegretario Gianni Letta) e docenti, abitanti del quartiere, con tanti bambini, senza negarsi alle numerose richieste di selfie. Un autentico bagno di folla. Il rettore Mario Panizza che ha accolto il S. Padre ha messo da parte il suo discorso ufficiale per sottolineare “il clima di euforia e di grandissimo entusiasmo con cui gli studenti e i docenti hanno partecipato” alla richiesta di un incontro inviata prima dell’estate “non in un’occasione ufficiale ma per un incontro all’insegna del dialogo”. Panizza ha ringraziato il Papa per il suo “impegno a favore dei più deboli, un esempio importante per i ragazzi e per noi educatori”.
In dialogo con gli studenti
Francesco ha ascoltato le domande che gli hanno rivolto quattro studenti: Giulia Trifilio, 25 anni, Riccardo Zucchetti, 23, Niccolò Antongiulio Romano, 23, e Nour Essa, 31 anni, una rifugiata siriana giunta in Italia con il Papa da Lesbo. Domande sulla “medicina contro l’agire violento”, i cambiamenti d’epoca e l’informazione, la “communis patria” che è la città e come viverla, la paura che serpeggia in Europa verso i migranti. E il S. Padre, come spesso fa, ha deciso di consegnare al Rettore il discorso preparato dopo aver “letto prima le domande”, e ha parlato a braccio “per rispondere direttamente dal cuore”.
“Pensiamo al linguaggio – ha detto rispondendo alla domanda di Giulia – Alla tonalità del linguaggio. E’ salita, tanto. Oggi per strada, a casa si grida. E anche si insulta, come se fosse normale. C’è violenza nell’esprimersi, nel parlare. E’ una realtà che tutti viviamo. C’è aria di violenza nelle nostre città. Anche la fretta, la celerità della vita ci fa violenti. Tante volte a casa dimentichiamo di dire buongiorno. Mah… ciao, ciao… Sono saluti anonimi. La violenza è un processo che ci fa ogni volta più anonimi. E questo diventa violenza sociale – ha proseguito il Papa – violenza mondiale. Bisogna abbassare un po’ il tono, bisogna parlare di meno e ascoltare di più. Ci sono tante medicine contro la violenza ma prima di tutto è il cuore che sa ricevere. Prima di discutere, dialoga. Col dialogo si fa amicizia”. Il Pontefice si è soffermato a lungo sulla necessità di dialogare: “Occorre saper ascoltare. Serve la pazienza del dialogo – ha sottolineato – perché dove non c’è dialogo c’è violenza”. Riferendosi alla “terza guerra mondiale a pezzetti” il Pontefice ha ricordato che la guerra “comincia nel tuo cuore, nel nostro cuore, quando non sono capace di aprirmi agli altri, di rispettarli, di dialogare, lì comincia la guerra”. E ha sottolineato ancora una volta la dimensione familiare di questo aspetto: “Quando a casa invece di parlare si grida o si sgrida… o quando a tavola invece di parlare ognuno sta col telefonino… E’ il fondamento”. Un fondamento che va vissuto anche “all’Università” dove “si deve fare questo lavoro artigianale del dialogo”. E dove si va “per imparare a vivere e a conoscere il vero, il buono e il bello”.
Unità nella diversità
Il Papa ha poi parlato dell’unità, “non del giornale”, ha scherzato. “E’ una cosa totalmente diversa dall’uniformità”. E ancora una volta ha usato il paragone della sfera e del poliedro: “Viviamo un’epoca di globalizzazione ma lo sbaglio è pensarla come se fosse un pallone, tutti i punti equidistanti dal centro… Tutto è uniforme, non c’è differenza. Questa uniformità è la distruzione dell’unità, ti toglie la capacità di essere differente. Invece serve una globalizzazione poliedrica”, che è la strada che deve seguire l’Università: “Unità nella diversità, così si vive la “communis patria”. Siamo accomunati ma ognuno è distinto”. Quanto alla comunicazione, il Papa ha messo in guardia dalla “rapidazione, un termine inventato in Olanda 40 o 50 anni fa: il pericolo è di non avere il tempo per fermarsi ad assimilare, a riflettere”. Il Pontefice ha poi fatto riferimento a Bauman: “Una comunicazione così rapida, leggera, può diventare liquida senza consistenza”. L’antidoto? “Serve concretezza. Anche nell’economia. Con un’economia liquida c’è mancanza di lavoro, c’è disoccupazione”. E ancora una volta il S. Padre è tornato a denunciare il dramma della disoccupazione giovanile: “L’economia liquida toglie la cultura del lavoro, i giovani non sanno cosa fare, lo sfruttano qui, là e alla fine l’amarezza del cuore dove porta? Alle dipendenze o al suicidio. E’ terribile. Serve concretezza e qui, nell’Università, vanno affrontati questi problemi per cercare soluzioni da proporre”.
L’accoglienza non è un pericolo
Infine la questione identitaria. “Ma l’Europa quante invasioni ha subito? – si è chiesto il Papa – Le migrazioni non sono un pericolo, sono una sfida per crescere”. Francesco ha fatto riferimento alla sua patria, terra di migranti per eccellenza, e ha ricordato la sua esperienza a Lesbo “dove ho sofferto tanto”. E’ “indispensabile pensare bene al problema migratorio. Non faccio politica di partito, semplicemente guardo la realtà”. Il Papa ha stigmatizzato lo sfruttamento dei Paesi più poveri e ha ricordato che “il Mediterraneo, il Mare Nostrum è diventato un cimitero. Quando sono andato a Lampedusa il fenomeno era appena iniziato ma ora è di tutti i giorni. E come dobbiamo accogliere i migranti? Prima di tutto come esseri umani. Sono uomini e donne come noi”. Ma il Papa ha anche riconosciuto che “ogni Paese deve vedere quanti migranti può accogliere”. Perché non basta accogliere: “occorre integrare”. Altrimenti il rischio è di assistere a fenomeni come quello della strage in Belgio “fatta da cittadini belgi: figli di immigrati ma ghettizzati non integrati”. Quando “c’è accoglienza, accompagnamento e integrazione – ha concluso il Papa – non c’è pericolo, si riceve cultura e si offre altra cultura”.
L’invito alla Sapienza
Prima di congedarsi, dopo lo scambio di doni, il Papa ha salutato numerosi docenti e i rettori del Lazio, tra cui quello della Sapienza, Gaudio, che lo ha invitato nel più grande ateneo d’Europa. Quello che chiuse le porte in faccia a Benedetto XVI.