L'11 febbraio del 2013, Benedetto XVI ha rinunciato al ministero petrino. Di fronte a un evento così clamoroso, la reazione dei mass media e il riflesso pavloviano dell’opinione pubblica si orientarono spontaneamente a immaginare un Ratzinger fragile e incapace di andare fino in fondo, malgrado questa raffigurazione contraddicesse la sua autentica fibra di difensore della Verità. Una determinazione testimoniata fino al gesto più estremo e radicale: l’abbandono del pontificato.
A caccia dei presagi
Furono immediatamente riproposti da giornali e televisioni, come presagi dell’abdicazione, due interventi solenni di Joseph Ratzinger, quasi fossero segnali anticipati di un’attitudine a non portare a termine la propria missione. Il primo discorso era una meditazione per l’ultima Via Crucis di Giovanni Paolo II al Colosseo nella solennità del venerdì santo. “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, quanta superbia, quanta autosufficienza!”, tuonò il cardinale teologo al quale Karol Wojtyla aveva affidato l’elaborazione dei testi e che da lì a poco sarebbe asceso al Soglio di Pietro. Parole che, dopo la rinuncia al pontificato, a molti suonarono come un segnale rivelatore per la cupa disamina della situazione ecclesiale, per il fosco quadro di un contesto molto proibitivo da risanare, bonificare, riformare. Interrogativi pesanti come macigni: “Quanto Cristo deve soffrire nella sua stessa Chiesa? Quante volte si abusa del santo sacramento della sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra! Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute! Tutto ciò è presente nella sua passione. Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è il più grande dolore del Redentore, quello che gli trafigge il cuore. Non ci rimane altro che rivolgergli, dal più profondo dell’animo, il grido: Signore, salvaci”. E, ancora, in un crescendo di preoccupazione e inquietudine, la preghiera rivolta direttamente a Cristo mentre il suo Vicario, giunto quasi al termine dei suoi giorni, ascoltava dalla cappella del Colosseo, aggrappato al crocifisso. “Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti- proseguì Ratzinger-. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa: anche all’interno di essa, Adamo cade sempre di nuovo. Con la nostra caduta ti trasciniamo a terra, e Satana se la ride, perché spera che non riuscirai più a rialzarti da quella caduta; spera che tu, essendo stato trascinato nella caduta della tua Chiesa, rimarrai per terra sconfitto. Tu, però, ti rialzerai. Ti sei rialzato, sei risorto e puoi rialzare anche noi. Salva e santifica la tua Chiesa. Salva e santifica tutti noi”. Un'autocritica coraggiosa che, poco dopo la Via Crucis, ribadì, condannando la “dittatura del relativismo” nella “Missa pro eligendo Pontifice”, la celebrazione in apertura del conclave. Stigmatizzò le “correnti ideologiche” che hanno agitato “la piccola barca dei cristiani”: “marxismo, liberalismo, libertinismo, collettivismo, individualismo radicale, vago misticismo religioso, agnosticismo, sincretismo”. Non fece sconti il cardinale bavarese. E forse proprio questa franchezza spinse molti, dopo appena una manciata di votazioni, a eleggerlo Papa il giorno dopo la proclamazione del “fuori tutto”. In realtà, al di là delle fumose e dietrologiche interpretazioni “ex post”, la condanna ratzingeriana della sporcizia nella Chiesa era una lettura spirituale, le cui ricadute sul modo di governarla di Benedetto si riuscirono a valutare in tempi più lunghi.
Progressivi aggiustamenti
La situazione del tutto anomala e senza precedenti di un papato emerito ha richiesto una serie di progressivi aggiustamenti formali e sostanziali. E proprio perché in Vaticano la forma è sostanza, il 30 gennaio 2014 arrivò dalla Santa Sede la comunicazione che Joseph Ratzinger aveva detto no a un nuovo emblema araldico da Papa emerito. Per volontà espressa dallo stesso Benedetto XVI, quindi, nessun segno esteriore espressivo della nuova situazione che si era creata con la rinuncia al ministero petrino. Venne pubblicato, da parte della Lev, il “Manuale di araldica ecclesiastica nella Chiesa cattolica”, elaborato da due esperti del settore, il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo e don Antonio Pompili, i quali spiegarono: “L'araldica è un linguaggio e l'araldica ecclesiastica è un ramo, o un capitolo, dell'araldica generale. Essa considera gli stemmi degli ecclesiastici e per mezzo di elementi simbolici presenta in un modo semplice ed immediato le qualità e caratteristiche della persona”. La libreria editrice vaticana dichiarò in una nota ufficiale che, durante la preparazione del volume, Benedetto XVI “manifestando vivo gradimento e sentita gratitudine per l'interessante studio fattogli pervenire, ha fatto sapere che preferisce non adottare un emblema araldico espressivo della nuova situazione creatasi con la sua rinuncia al ministero petrino”. Da subito si iniziò a parlare di un dualismo tra il Papa regnante e quello emerito, al punto che dovette intervenire Benedetto XVI il 26 febbraio 2014 con una lettera al quotidiano La Stampa.
Speculazioni assurde
Il Papa emerito sgombrò il campo da “speculazioni assurde” e ribadì: “Il mio unico compito è quello di sostenere Francesco”. Joseph Ratzinger fece piazza pulita delle interpretazioni della sua decisione di dimettersi dal ministero petrino circolate su mass media e web subito dopo la storica rinuncia. Interpellato esplicitamente sul tema, rispose personalmente alle domande fatte pervenire del vaticanista Andrea Tornielli. “Non c'è il minimo dubbio circa la validità della mia rinuncia al ministero petrino -scrisse il Papa emerito-. Unica condizione della validità è la piena libertà della decisione. Speculazioni circa la invalidità della rinuncia sono semplicemente assurde”. E aggiunse: “Il mantenimento dell'abito bianco e del nome Benedetto è una cosa semplicemente pratica. Nel momento della rinuncia non c' erano a disposizione altri vestiti. Del resto porto l'abito bianco in modo chiaramente distinto da quello del Papa. Anche qui si tratta di speculazioni senza il minimo fondamento“. Ratzinger precisò anche il significato della sua permanenza in Vaticano: “Io sono grato di poter essere legato da una grande identità di vedute e da un'amicizia di cuore a Papa Francesco. Io oggi vedo come mio unico e ultimo compito sostenere il suo Pontificato nella preghiera”. E concluse la missiva auspicando di aver risposto al suo interlocutore epistolare “in modo chiaro e sufficiente”.
Vater Benedikt
Ma la bufera infinita sui “due Papi” non si placò. E, nel dicembre 2014, il Papa emerito rilasciò un’intervista al quotidiano “Frankfurter Allgemeine” in cui smentiva qualsiasi suo presunto intervento al dibattito del Sinodo sulla famiglia. “Al momento della rinuncia, avrei preferito farmi chiamare semplicemente “Vater Benedikt, Padre Benedetto, ma ero troppo debole e stanco per impormi”, raccontò il Papa emerito. Un retroscena significativo, un tratto umanissimo della personalità di Joseph Ratzinger, tanto che il giornalista Joerg Bremer, corrispondente a Roma del giornale tedesco, domandò: “Questo lo scriviamo?”. E Ratzinger, come sempre oculato e sottile, rispose: “Faccia pure, magari può essere d’aiuto”. Purtroppo, però, ciò non è stato sufficiente a dare una volta per tutte un taglio alle teorie su una presunta diarchia in Vaticano, dove il Papa emerito continuerebbe a manovrare, dal “nascondimento” del Mater Ecclesiae (il monastero vaticano dove risiede dopo la rinuncia) la Chiesa universale “scavalcando” il Papa regnante. E non è bastato neppure a far tacere le voci secondo cui “padre Benedetto” si sarebbe messo un po’ di traverso ai piani del suo successore. Come alcuni dicono sia accaduto in occasione del Sinodo straordinario sulla famiglia, quando, a pochi giorni dalla chiusura dell’assise che aveva richiamato l’attenzione mondiale soprattutto sul tema dei sacramenti ai divorziati risposati, è stato riesumato un saggio dell’allora professore di teologia Joseph Ratzinger dal titolo “Sulla questione dell’indissolubilità del matrimonio”. Nello scritto in questione, edito nel 1972, il futuro Pontefice si era espresso in termini possibilisti sulla riammissione all’eucarestia dei divorziati risposati, perché in alcuni e particolari casi la riammissione poteva essere coperta dalla tradizione. Un intervento che avrebbe potuto rivoluzionare le conclusioni del Sinodo dei vescovi. Invece Ratzinger, nel quarto dei volumi che raccolgono la sua Opera Omnia, preferì riformulare la teoria dell’epoca e ribadire l’intangibilità della dottrina sull’indissolubilità del matrimonio. E dunque tutto ciò che ne conseguiva riguardo allo spinoso tema dell’accesso ai sacramenti.
Chi è il vero Papa
Benedetto XVI non ha mai voluto smentire sé stesso, né quanto ha affermato da cardinale prima e da Papa poi. Una cosa, però, ha inteso smentirla categoricamente nella mezz’ora di colloquio con il giornale tedesco: che da parte sua non c’era mai stata una volontà, neanche indiretta, di intromettersi al dibattito voluto da Francesco al Sinodo dei vescovi sulla famiglia. “È una totale assurdità”, ha detto con fermezza, rimarcando ancora una volta gli “ottimi contatti” con Bergoglio. “Cerco di essere il più silenzioso possibile”, ha inoltre soggiunto, “anche perché, per il credente, è chiaro chi sia il vero Papa”. Benedetto XVI, inoltre, ha evidenziato che “la revisione del testo è stata decisa ben prima dell’inizio dell’assemblea dei vescovi, ad agosto per l’esattezza, e non contiene nulla di nuovo”. “Anzi”, aggiunse, “io stesso, da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ho scritto cose assai più radicali”. Nel corso dell’intervista, Ratzinger ricordò anche l’insegnamento di Giovanni Paolo II su questi delicati temi, e sottolineò che i divorziati risposati non dovevano essere esclusi dalla vita della Chiesa, ma essere maggiormente coinvolti, magari facendo ad esempio da padrini e madrine di battesimo. L’ultimo pensiero nel colloquio con il quotidiano tedesco fu per il Natale alle porte, quando l’ex Pontefice rivolse uno sguardo alla Terra Santa, il luogo in cui Cristo ha vissuto incarnandosi in forma umana. “Gesù – sottolineò colui che è il suo maggior biografo –non è stato solo spirito, ma si è fatto uomo, e tutta la sua vita su questa terra è databile. E questa dimensione terrena è importante per la fede degli uomini”. Congedandosi dal giornalista, mostrò alcune medaglie e ricordi del pontificato. Con l’umorismo che lo contraddistingueva, aggiunse: “Può tenerli, se vuole. Ma purché non si alimenti così il culto della personalità”. Poi salutò con affetto il cronista e ritornò alla sua vita fatta di ore e ore di preghiera, di lunghe passeggiate, di esercitazioni al pianoforte. La vita, cioè, di un monaco che, suo malgrado, aveva accettato con umiltà, dopo l’abdicazione, di vedere accostato al suo nome ancora il titolo di “Papa” e non di “padre”.