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Cinque anni fa la “declaratio” di Papa Ratzinger

Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro”. Con queste parole, pronunciate in latino al termine di un Concistoro, Papa Benedetto XVI annunciava al mondo l'imminente fine del suo pontificato. Un gesto che ha cambiato il volto della Chiesa che in epoca moderna non aveva ancora assistito all'abdicazione di un Pontefice. Nel corso dei secoli, infatti, diversi Papi (nove in tutto per la precisione) hanno rinunciato al ministero petrino. Il caso più noto è, senza ombra di dubbio, quello di Celestino V, oggi santo.

Parallelismi

Il 28 aprile del 2009, ventidue giorni dopo il terremoto che colpì l'Aquila, causando la morte di oltre trecento persone, Benedetto XVI si recò in visita in Abruzzo. In quell'occasione chiese di poter pregare davanti la teca che custodiva le spoglie del Pontefice che fece “il gran rifiuto”. E così fu: nella basilica di Collemaggio, quasi completamente distrutta dalla furia del sisma, Papa Ratzinger pregò sulle reliquie di Celestino V. Prima di andare via, pose sull'urna il pallio papale, simbolo del pastore alla guida del gregge. Qualcuno ha visto in questo gesto un parallelismo tra i due Papi. Ma, teorie a parte, la rinuncia di Benedetto XVI sarebbe da interpretare come un grande atto d'amore verso la Chiesa, un atto che solo con il passare del tempo potrà essere compreso appieno dai tutti.

Dubbi e preghiere

Tra i credenti, quello che fece più scalpore, fu il momento in cui il Pontefice tedesco comunicò la sua rinuncia: l'Anno della Fede. Non solo. La declaratio venne pronunciata l'11 febbraio, giorno in cui la Chiesa ricorda le apparizioni della Vergine Maria a Lourdes, e a pochi giorni dall'inizio della Quaresima. Ma più forte dei dubbi e delle incertezze è stata la fede. I cattolici di tutto il mondo hanno fatto sentire la loro voce e la loro vicinanza spirituale al Papa che si apprestava a concludere il suo mandato. Centinaia di persone giunsero a Roma da ogni parte del globo per partecipare alla sua ultima celebrazione: la Messa delle Ceneri. Un rito che, tradizionalmente, il Santo Padre celebra nella chiesa di Santa Sabina, sull'Aventino. Una basilica troppo piccola per accogliere i tanti fedeli in viaggio verso la Capitale d'Italia. E così, per la prima volta dopo anni, la Quaresima, a Roma, ebbe inizo nella maestosa basilica vaticana. Ma anche San Pietro si rivelò “piccola”, tanto che svariate persone assisstettero alla Messa dai maxischermi installati in piazza. Una piazza che si riempì anche la domenica successiva, per l'Angelus, e per l'ultima Udienza generale. Il calore di quelle persone arrivò dritto al cuore di Benedetto XVI, che le ringraziò così: “Grazie di essere venuti così numerosi! Grazie! La vostra presenza è un segno dell’affetto e della vicinanza spirituale che mi state manifestando in questi giorni. Vi sono profondamente grato!”.

“Cristo guida la Chiesa”

Ma il gesto della rinuncia non fu visto di buon occhio da tutto il mondo cattolico. Parroci e laici lo accusarono di abbandonare la guida della Chiesa (appena travolta dagli scandali di abusi sessuali su minori commessi da sacerdoti in diverse parti del mondo). Accuse alle quali Ratzinger rispose al termine del suo ultimo Angelus: “Il Signore mi chiama a 'salire sul monte', a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze“.

Nel corso dell'ultima Udienza generale, in una piazza San Pietro gremita di gente e riscaldata da un tiepido sole invernale, Benedetto XVI ribadì un concetto probabilmente dimenticato da tutte quelle persone che lo stavano accusando di compiere un gesto egoista e di codardia: “La barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è di Cristo. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare. Ed è per questo che oggi il mio cuore è colmo di ringraziamento a Dio perché non ha fatto mai mancare a tutta la Chiesa e anche a me la sua consolazione, la sua luce, il suo amore“. E aggiunse: “In questi ultimi mesi, ho sentito che le mie forze erano diminuite, e ho chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa. Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo. Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi”. Poi, tra la commozione dei presenti, concluse così la sua ulima Udienza del mercoledì: “Cari amici, Dio guida la sua Chiesa, la sorregge sempre anche e soprattutto nei momenti difficili. Non perdiamo mai questa visione di fede, che è l’unica vera visione del cammino della Chiesa e del mondo. Nel nostro cuore, nel cuore di ciascuno di voi, ci sia sempre la gioiosa certezza che il Signore ci è accanto, non ci abbandona, ci è vicino e ci avvolge con il suo amore. Grazie!”

In volo verso Castel Gandolfo

All'indomani di quel discorso, Benedetto XVI lasciava la Città del Vaticano per raggiungere la Villa Pontificia di Castel Gandolfo, dove avrebbe trascorso alcuni mesi in attesa che fosse ultimato il monastero Mater Ecclesie, all'interno delle mura leonine, dove tuttora risiede. Era il 28 febbraio. Dall'eliporto vaticano, un elicottero bianco decollò nel tramonto che infuocava il cielo sopra la Città eterna. Sorvolò il cupolone, il Colosseo, la basilica di San Giovanni in Laterano; nel frattempo Roma salutava il suo vescovo facendo suonare a distesa le campane di tutte le sue chiese. Uno scampanio malinconico che accompagnò tutto il volo, seppur breve, di Papa Ratzinger verso i Castelli. Ad attenderlo, nella piccola piazza che incornicia la residenza estiva dei Pontefici, gli abitanti di Castel Gandolfo, ai quali Benedetto XVI rivolse le ultime parole da Papa regnante: “Sono semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra. Ma vorrei ancora, con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera, con la mia riflessione, con tutte le mie forze interiori, lavorare per il bene comune e il bene della Chiesa e dell’umanità”. Alle 20:00 di quel 28 febbraio, due guardie svizzere, che a stento riuscivano a trattenere le lacrime, chiusero il portone della Villa. Terminava così il pontificato di Benedetto XVI, durato poco meno di otto anni. 

Un nuovo inizio

Tredici giorni dopo, in un piovoso pomeriggio di marzo, le campane della basilica di San Pietro tornarono a suonare a festa mentre dal comignolo della Sistina si levava alta una fumata bianca. La Sede di Pietro, rimasta vacante per quasi due settimane, aveva il suo nuovo pastore, un Papa arrivato “dalla fine del mondo”, come lui stesso si è definito: Francesco, al secolo Jorge Mario Berglio. Presentandosi al mondo, il primo pensiero del nuovo Pontefice andò al suo predecessore. Alle centinaia di persone che affollavanto la piazza del Bernini chiese di preghiera per il Papa emerito: “Preghiamo tutti insieme per lui – disse -, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca“. A distanza di cinque anni siamo certi che questa preghiera è stata esaudita. 

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