Il desiderio di libertà religiosa è costato il carcere a due giovani monaci buddisti. La polizia cinese della contea di Ngaba, nella zona nord-est del Tibet, ha arrestato i due religiosi per aver chiesto il ritorno del Dalai Lama in Tibet (in esilio dal 1959) e per aver manifestato contro il governo cinese rivendicando il diritto alla pluralità delle fedi. I due giovani tibetani sono rinchiusi in due centri diversi della contea, nella regione nord-orientale di Amdo. Il primo dei due monaci fermati ha 20 anni e si chiama Adak. Il secondo, Lobsan, 22 anni appena, appartiene al monastero di Kirti. Entrambi sono stati fermati dalla polizia cinese fra il 10 e l’11 settembre durante le celebrazioni dei 50 anni di governo comunista.
Fonti locali riferiscono che le autorità hanno rafforzato i controlli per bloccare le frequenti proteste che si sono ripetute negli ultimi giorni nell’altipiano tibetano da tempo posto sotto la sorveglianza dei vertici militari di Pechino. La Regione Autonoma del Tibet, nota anche con l’acronimo “TAR”, è infatti una provincia della Repubblica Popolare Cinese dal 1967. Nei giorni scorsi le autorità cinesi hanno blindato Lhasa, capitale del Tibet cinese, per i 10 lustri di vita del partito comunista. Dall’esilio a Dharamsala (nello Stato di Himachal Pradesh nel nord dell’India, in cui risiedono sia il capo spirituale del buddhismo – il quattordicesimo Dalai Lama, Tenzin Gyatso – che il governo tibetano), il premier Lobsang Sangay ha commentato la parata sottolineando che “non c’è nulla da festeggiare”.