La Chiesa in campo per un Cile più solidale e accogliente. “In questo periodo di elezioni. E di fronte all’attuazione di una nuova normativa sull’immigrazione. Siamo preoccupati che la persona non sia concepita come l’asse della legge. Ma che la migrazione sia associata alla questione della sicurezza. Per limitare la mobilità delle persone. O per scopi elettorali”. Sos dei delegati della Pastorale della mobilità umana di tutto il Cile. E dell’Istituto cattolico cileno delle migrazioni (Incami).
Allarme in Cile
L’allarme dell’episcopato cileno è stato rilanciato dall’agenzia missionaria vaticana Fides. E, a nome di tutti i delegati, è firmato da monsignor Moisés Atisha Contreras. Vescovo di San Marcos de Arica. Presidente dell’Incami. Secondo cui “i migranti non trovano le condizioni per un processo di inserimento dignitoso. E vedono approfondite le situazioni di vulnerabilità”. Di qui la richiesta di processi di integrazione di coloro che già risiedono in Cile. Per garantire “la possibilità di accesso a diritti come il ricongiungimento familiare”. E i diritti dei bambini. Creando “ponti e non muri tra le persone”.
Rischio esclusione
I vescovi del Cile sollecitano “processi definiti e trasparenti di gestione e comunicazione della migrazione”. E pongono l’esigenza che “la nuova amministrazione concepisca la migrazione come una realtà umana. Bisognosa di protezione e non di esclusione”. La digitalizzazione delle procedure riguardanti i migranti non ha migliorato la gestione di permessi di lavoro e visti. L’iter “sta diventando sempre più lunga e burocratica”, sottolineano i presuli. Preoccupa “la vulnerabilità in cui possono trovarsi le persone provenienti dal Venezuela e da Haiti. Considerando che tra loro ci sono bambini. Molti dei quali nati in Cile”.