Cibo e soldi per convertirsi: così i radicali indù spingono i musulmani a cambiare credo

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Offrire soldi, cibo e tessere per ottenere i sussidi stradali: se non sono definibili come “conversioni forzate”, quelle che stanno avvenendo in India sono sicuramente “conversioni funzionali“. I radicali indù del Bajrang Dal hanno infatti “circuito” 57 famiglie musulmane, circa 300 persone, per convincerle a cambiare credo.

La cerimonia di ghar wapsi, il “ritorno a casa” come lo chiamano i fondamentalisti indù, si è svolta ad Agra l’8 dicembre scorso, ed è solo l’ultima in ordine di tempo avvenuta nello Stato indiano dell’Uttar Pradesh: le famiglie coinvolte sono composte per lo più da persone povere provenienti dal Bangladesh. La notizia ha spinto l’opposizione a presentare un’interrogazione parlamentare, in cui si punta il dito contro il Bharatiya Janata Party (Bjp), partito ultranazionalista indù alla guida del governo centrale.

Il Bjp, infatti, è legato a filo doppio a gruppi come il Bajrang Dal e la Rashtriya Swayamsevak Sangh, artefici di violenze contro le minoranze etnico-religiose del Paese. “Ci hanno chiesto di partecipare all’evento – raccontano alcuni dei presenti – per ricevere le tessere dei sussidi e registrare i nostri nomi nelle liste elettorali. Non sapevamo si trattasse di una cerimonia di conversione”. Altri invece sapevano cosa stava per accadere, ma “ci hanno fatto pressione e abbiamo avuto paura. Ci hanno fatto lavare gli idoli di una dea indù e ci hanno fatto dire di essere felici”.

Proprio in questi giorni, la Rss ha “promesso” una grande cerimonia di ghar wapsi per il prossimo 25 dicembre, in cui 4mila famiglie cristiane e mille famiglie musulmane di Aligarh torneranno all’induismo. Per il momento, il governo si è espresso “contro le conversioni o le riconversioni in cui si usa la forza o la corruzione”. Tuttavia, è un fatto che – da quando il Bjp è salito al potere – i casi di persecuzione contro cristiani e musulmani sono aumentati, così come gli episodi di conversione forzata o di “ritorno a casa”.

Chiara Menichelli: