“La risposta a trauma sociale è creare un “noi”, una presenza che non abbandona ma che garantisce un affiancamento nella stagione della sofferenza”. Termina con queste parole il suo intervento il cardinale Giuseppe Petrocchi, arcivescovo di L’Aquila, ospite alla conferenza stampa La pandemia: terremoto dell’anima. L’evento è stato organizzato dal parroco della chiesa di San Salvatore in Lauro a Roma, monsignor Pietro Bongiovanni, e vi ha preso parte, come moderatore, monsignor Daniele Libanori, vescovo ausiliare della diocesi di Roma, per il Settore Centro.
La Pastorale dell’emergenza
“Vengo da territorio terremotato più volte, nel 2009, 2016, 2017, e adesso la comunità è stata “pandemizzata” dalla calamità sanitaria. Mi sono sforzato di avere intelligenza delle situazioni, di entrarci dentro e trovare le connessioni. Son arrivato alla conclusione che tutti i traumi sociali hanno dei dei denominatori comuni, dei motivi ritornanti”, ha esordito sua Eminenza, arrivato a L’Aquila nel 2013, che ha poi raccontato di aver inaugurato recentemente nella diocesi un ufficio per la “Pastorale dell’emergenza”, il cui fine è la comprensione di questi fenomeni e l’elaborazione di strategie per garantire prossimità e soccorso ai bisogni fondamentali delle persone.
Il terremoto dell’anima
Oltre al terremoto che ha lasciato dolore, distruzione e crepe negli edifici, il cardinal Petrocchi è entrato in contatto con “un terremoto non osservabile se non con sensori speciali a livello spirituale, sociale”. Un terremoto che, spiega, “apre fratture nel cuore, nella mente, si riverbera nei rapporti ma non è facile da intercettare perché la gente di montagna, robusta e resiliente, è poco portata a trasmettere ciò che si porta dentro, materiale radioattivo deposto in una zona a porte chiuse”.
I due terremoti, quello “esterno” e quello dell’anima si manifestano su scale temporali diverse. Il secondo, quello interiore presenta “sciami problematici che si prolungano nel tempo” ed è un vero “trauma virale”. Si riversa non solo su chi l’ha vissuto, spiega il cardinale, ma anche sulle generazioni successive, condizionando la visione del futuro, facendo immaginare un domani fosco e senza ottimismo. L’arcivescovo metropolita aquilano illustra il concetto con un dato: “I ragazzi che provengono dalla nostra aerea hanno tasso di ansietà e insicurezza più grande dei loro coetanei che vivono sulla costa” e non hanno subito gli effetti del terremoto.
Ascoltare, non sentire
“Dove compare il terremoto dell’anima si rafforzano certi processi che sono comuni”, spiega il cardinal Petrocchi “diminuisce in genere la capacità di ascoltare, che è impegnativa perché significa prendere sul serio ciò che l’altro ci ha donato, e quella di parlare”.
Se non si parla, “dirsi significa sempre darsi”, non si metabolizza – né a livello intrapsichico né a livello di confronto – una “sofferenza rimossa in strati dell’anima l’Io non riesce più a raggiungere ma non cessa di segnalarsi, perché ha bisogno di accoglienza“, afferma il prelato.
Fare bene il Bene
Est modus in rebus e fare nel modo sbagliato una cosa giusta può vanificarla, avverte il cardinale. “Quando c’è un problema e si discute, non basta aver ragione se manca l’amore. Il Bene va fatto bene, perché se fatto male fa male”, spiega il cardinal Petrocchi. Sua Eminenza ricorre alla differenza tra il taglio e la potatura di una pianta. Il taglio è “penalizzante, patologico, produce morte”, chiarisce il prelato, mentre “la potatura è un’operazione benevola“. “L’interesse che ci deve muovere”, ricorda l’arcivescovo, “deve essere il bene dell’altro”.
Il “Ministero della Consolazione”
Nei giorni della solennità della Pentecoste, celebrata domenica scorsa 23 maggio, il cardinale afferma che chi vuole essere vicino a chi soffre deve essere una persona “con sapienza”.
“La Parola conduce a fare Pasqua e la Pasqua ci apre alla Pentecoste, ma per la circolarità evangelica la Pentecoste ci conduce alla Pasqua e la Pasqua alla Parola. Come Chiesa dobbiamo far riferimento a questo Spirito che risiede in noi” è la riflessione e l’invito del cardinale Petrocchi. “La pastorale dell’emergenza, attrezzata alla consolazione, significa lasciar agire lo Spirito Santo”.
Urge fondare un “ministero della consolazione”, che “è teologale” e “non solo antropologica”, continua l’arcivescovo. “Una Chiesa fraterna, amica, samaritana è capace di offrire tesoro della Parola, della Pasqua e della Pentecoste. Dobbiamo essere capaci di essere una seconda Protezione civile”, è l’esortazione dell’ecclesiastico “che poi è quello che la gente cerca, ciò di cui ha bisogno”.
“La Chiesa deve sapere con-dividere, con-soffrire, con-sperare credere che l’Amore vince, qualunque cosa accada”, conclude il cardinale.