Il carcere come luogo di recupero dell’individuo. L’impegno della Chiesa

"Se si vuole modificare la situazione nelle carceri italiane bisogna mettere mano a una circolare del 2022", afferma don Gino Rigoldi, storico cappellano del Beccaria di Milano

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Foto di Larry Farr su Unsplash

“L’amore di Gesù non delude mai perché lui non si stanca di amare, come non si stanca di perdonarci, di abbracciarci”, ha detto papa Francesco nel carcere minorile di Casal del Marmo. “Se si vuole modificare la situazione nelle carceri italiane bisogna mettere mano a una circolare del 2022, andata in esecuzione sei mesi fa, in cui si prevede che i detenuti possono stare fuori dalla cella solo se hanno specifiche attività da svolgere in carcere o al di fuori dal carcere, altrimenti si esce dalle celle soltanto per l’ora d’aria del mattino e per quella del pomeriggio, altri momenti al di fuori dalla cella non ne sono previsti. Ma in molte carceri italiane, soprattutto in quelle strapiene, le attività da fare praticamente non esistono. Vuol dire che ci sono migliaia di detenuti che trascorrono 22 ore al giorno in cella a far niente. Questo modo di agire, a mio modo di vedere, si chiama tortura”, afferma don Gino Rigoldi, storico cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano.

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Foto © Clemente Marmorino (Imagoeconomia)

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In una lunga intervista pubblicata da L’Eco di Bergamo, a firma del direttore Alberto Ceresoli, don Rigoldi sostiene: “Abbiamo protestato come cappellani delle carceri della Lombardia, sottolineando che è una cosa indegna. Ma ci è stato risposto che non sono cose che ci riguardano“. Il sacerdote, classe 1939, cappellano dal 1972, anche se da qualche mese ha rassegnato le dimissioni per lasciare il posto a don Claudio Burgio. “Finalmente è arrivata la nomina dei direttori – aggiunge don Rigoldi -. C’erano delle carceri, come ad esempio il Beccaria, dove il direttore mancava da vent’anni. Certo, c’erano dei supplenti che però dovevano badare a due o tre carceri, il che vuol dire non riuscire a gestirne nemmeno uno o quasi. Adesso invece ogni carcere ha un proprio direttore e questo è un bene. Si stanno nominando anche i comandanti degli agenti penitenziari. E pure questa è una cosa buona, perché la figura del comandante è fondamentale per formare, organizzare e sostenere al meglio il delicato lavoro degli agenti”.