Campagna a sostegno del Cristianesimo in Europa

Logo Interris - Campagna a sostegno del Cristianesimo in Europa

Logo INTERRIS in sostituzione per l'articolo: Campagna a sostegno del Cristianesimo in Europa

La Chiesa non ha bisogno di sostegno solo nelle martoriate realtà del Medio Oriente o di Paesi in cui la libertà religiosa è una chimera. Anche l'Europa, un continente “stanco” e invecchiato, ha bisogno di tornare alle origini, alla linfa di un Cristianesimo vissuto e vivificante. Anche tenendo ben presente tutto questo la Fondazione pontifica Aiuto alla Chiesa che Soffre ha lanciato una campagna di raccolta fondi dal titolo “Non c’è Europa senza Cristo” a sostegno degli studenti del seminario Redemptoris Mater di Vinnitsa in Ucraina, e dell’ampliamento del centro giovanile San Giovanni Paolo II di Sarajevo. E l'arcivescovo della città, cardinale Vinko Puljic, ha sottolineato ad Acs l'importanza di una rinascita cristiana: “L’Europa deve riscoprire le proprie radici, la propria identità cristiana. Soltanto così non dovrà temere il radicalismo islamico” ha affermato il primate della Chiesa della Bosnia-Erzegovina. Parole che riecheggiano le affermazioni di San Giovanni Paolo II (una su tutte, il Regina Coeli del 2 maggio 2004), di Benedetto XVI (per esempio ai partecipanti al convegno del Partito popolare europeo nel 2006), di Papa Francesco al Parlamento europeo di Strasburgo nel novembre 2014.

Discriminazioni insopportabili

Il cardinal Puljic ha riferito ad Acs della difficile situazione nel Paese Balcanico, dal quale si stima che ogni anno emigrino circa 10.000 cattolici. “E' dalla fine della guerra che la nostra piccola comunità continua a diminuire di anno in anno, a causa dell’assenza di uguaglianza sia a livello politico che giuridico. Alcuni non trovano lavoro, altri invece hanno un impiego ma non riescono più a vivere in un Paese in cui non godono degli stessi diritti degli altri cittadini”. I cattolici sono infatti discriminati in entrambe le entità istituite dagli accordi di Dayton nel 1995. Nella Federazione croato-musulmana, perché di fede non islamica, e nella Repubblica serba di Bosnia-Erzegovina perché prevalentemente di origine croata. L’arcivescovo di Sarajevo riconosce a tal riguardo le responsabilità della comunità internazionale “che non ha offerto a noi cattolici lo stesso aiuto concesso ad altri gruppi”. La Chiesa locale cerca di infondere speranza al proprio gregge e di favorire un clima di tolleranza attraverso diverse iniziative, specialmente rivolte ai giovani nel Centro San Giovanni Paolo II, che accoglie anche ragazzi di altre fedi. “Ma non possiamo farcela da soli, perché siamo una piccola realtà” afferma il porporato ringraziando i benefattori di Acs per l’aiuto finora ricevuto. “Vi siamo molto grati perché la nostra Chiesa non potrebbe sopravvivere senza quanti ci sono vicini e ci offrono il loro appoggio”.

La minaccia islamica

Un'altra grave difficoltà è rappresentata dall’Islam radicale, sempre più diffuso in Bosnia-Erzegovina. “Vi è un grande investimento da parte di Paesi arabi che costruiscono moschee e perfino interi villaggi in cui far vivere quanti giungono qui dalle loro nazioni – spiega il cardinale – Con i musulmani slavi abbiamo buoni rapporti, ma con gli islamici radicalizzati provenienti dal mondo arabo è difficile dialogare. Soprattutto perché, specie a livello politico, ignorano la nostra presenza”. Il Paese balcanico è una nota porta di accesso all’Europa per l’Islam radicale, che si sta propagando velocemente nel vecchio continente. “Purtroppo l’Europa non conosce bene l’Islam e non capisce cosa significhi vivere fianco a fianco con il radicalismo islamico”. Per contrastare il dilagante fenomeno, il cardinal Puljic ritiene si debba ripartire dalla riscoperta delle radici cristiane: “Al giorno di oggi c’è attenzione soltanto per il materialismo e non per la dimensione spirituale dell’uomo. L’Europa deve imparare a custodire le sue radici cristiane, altrimenti dovrà continuare a temere il radicalismo”.

Andrea Acali: