“Il nostro mondo dimentica a volte il valore speciale del tempo speso accanto al letto del malato, perché si è assillati dalla fretta, dalla frenesia del fare, del produrre, e si dimentica la dimensione della gratuità, del prendersi cura, del farsi carico dell’altro”. Sono le parole di Papa Francesco nel messaggio per la XXIII Giornata Mondiale del Malato che si celebra l’11 febbraio 2015. “Mi rivolgo a tutti voi – ha esordito il Santo Padre – che portate il peso della malattia e siete in diversi modi uniti alla carne di Cristo sofferente; come pure a voi, professionisti e volontari nell’ambito sanitario”. Prendendo spunto da un’espressione del Libro di Giobbe, “Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo”, ha meditato sulla “sapienza del cuore”, atteggiamento infuso dallo Spirito Santo in “chi sa aprirsi alla sofferenza dei fratelli e riconosce in essi l’immagine di Dio”. Articolando in più punti il suo discorso il vescovo di Roma ha affermato che sapienza del cuore è servire, stare, uscire da sé, essere solidali col fratello.
“Quanti cristiani anche oggi testimoniano, non con le parole, ma con la loro vita radicata in una fede genuina – ha osservato il Papa – di essere ‘occhi per il cieco’ e ‘piedi per lo zoppo’! Persone che stanno vicino ai malati che hanno bisogno di un’assistenza continua, di un aiuto per lavarsi, per vestirsi, per nutrirsi”. Questo servizio, ha osservato, è un “grande cammino di santificazione”. Secondo il successore di Pietro si nasconde una “grande menzogna” dietro certe espressioni “che insistono tanto sulla ‘qualità della vita’, per indurre a credere che le vite gravemente affette da malattia non sarebbero degne di essere vissute!”. Inoltre la vera carità “ha bisogno di tempo” ed è condivisione “che non giudica, che non pretende di convertire l’altro; è libera da quella falsa umiltà che sotto sotto cerca approvazione e si compiace del bene fatto”. “Anche le persone immerse nel mistero della sofferenza e del dolore, accolto nella fede – ha spiegato – possono diventare testimoni viventi di una fede che permette di abitare la stessa sofferenza, benché l’uomo con la propria intelligenza non sia capace di comprenderla fino in fondo”. Il Pontefice ha concluso con una preghiera alla Vergine: “Fa’ che, nel servizio al prossimo sofferente e attraverso la stessa esperienza del dolore, possiamo accogliere e far crescere in noi la vera sapienza del cuore”.