“Uno degli apostolati più importanti oggi è l’apostolato dell’orecchio: ascoltare”. Ascoltare “le sorelle, come pure gli uomini e le donne. Non stancatevi di esercitarvi continuamente nell’arte dell’ascolto e della condivisione. In questo tempo di grandi sfide, che richiedono ai consacrati fedeltà creativa e ricerca appassionata, l’ascolto e la condivisione sono più che mai necessari, se vogliamo che la nostra vita sia pienamente significativa per noi stessi e per le persone che incontriamo”. E’ l’invito che ha rivolto il Pontefice alle Pie discepole del Divin Maestro, ricevute in udienza in Vaticano in occasione del Capitolo generale della Congregazione, fondata da don Giacomo Alberione, in corso a Roma dal 30 aprile al 28 maggio sul tema “Vino nuovo in otri nuovi”. “Evitate – raccomanda il Papa – i profeti di sventura, che fanno danno alla Chiesa”. A introdurre l’udienza, il saluto di suor Micaela Monetti, nuova superiora generale delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Il “grazie” del Papa
“Grazie, sorelle, per quello che siete, per quello che fate e per come lo fate, anche qui nella Città del Vaticano. Grazie tante!”. Sparse nei cinque Continenti, in 27 Paesi, le Pie discepole del Divin Maestro, ramo contemplativo della Famiglia Paolina, nella sede di Pietro curano l’adorazione eucaristica nella cappella del Santissimo Sacramento, lavorano nell’ufficio liturgico, offrono servizi ai pellegrini ed operano come centraliniste. Che il Capitolo generale, ha augurato loro il Papa, vi porti “frutti, anzitutto, di comunione” nella vostra Congregazione, “coltivando l’attenzione e l’accoglienza reciproca, bandendo dalle comunità le divisioni, le invidie, i pettegolezzi; dicendosi le cose con franchezza e con carità”.
Frutti di comunione
Frutti di comunione nella Famiglia Paolina e con gli altri carismi, tutti “al servizio dell’evangelizzazione, rimanendo fedeli alla propria identità”, combattendo “in ogni modo l’autoreferenzialità”. Frutti di comunione anche “con gli uomini e le donne del nostro tempo. Negli interrogativi e nelle attese degli uomini e delle donne di oggi troviamo indicazioni importanti per la nostra sequela di Cristo”. Se il “Capitolo è tempo di ascolto del Signore”, che “parla attraverso i segni dei tempi”, mediante i fratelli, ha ricordato Francesco, occorre un “confronto sereno e senza pregiudizi tra i propri progetti e quelli degli altri”, in un “tempo di grandi sfide” per i consacrati: “se vogliamo che la nostra vita sia pienamente significativa per noi stessi e per le persone che incontriamo”.
Contro una cultura dello “zapping”
“Davanti a noi si apre un mondo di possibilità”, che la cultura odierna presenta “tutte come valide e tutte come buone. Ma se non vogliamo cadere vittime della cultura dello zapping e, a volte, di una cultura di morte, dobbiamo incrementare l’habitus del discernimento, formarci e formare al discernimento”. Quindi un invito alla gioia, che “allontana da noi il cancro della rassegnazione, frutto dell’accidia che inaridisce l’anima. Per favore, suore rassegnate no! Gioia. Ma il diavolo dirà: ‘Ma siamo poche, non abbiamo vocazioni’; e così si allunga la faccia, giù, giù, giù… e si perde la gioia, e finiamo in quella rassegnazione. No, non si può vivere così: la speranza di Gesù Cristo è gioia”. Una gioia “autentica, non autoreferenziale o autocompiaciuta”, dove traspare “la bellezza” “di seguire Cristo”.
Una sequela triste è una triste sequela
“Una sequela triste è una triste sequela!”, ha affermato. Ed ancora la “responsabilità” della “speranza”, di cui rispondere “a chiunque ce ne domandi ragione”. “La speranza che non delude non si basa sui numeri o sulle opere, ma su Colui per il quale nulla è impossibile”.
Infine, un invito: “Non unitevi ai profeti di sventura, che tanto danno fanno alla Chiesa e alla vita consacrata; non cedete alla tentazione dell’assopimento – come gli apostoli nel Getsemani – e della disperazione”.