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Benedetto XVI, il pastore mite della ragione che cerca Dio

A un anno dalla scomparsa, l'eredità di Benedetto XVI è ancora viva. E non smette di prestarsi a nuove e preziose letture

Radunare e guidare il gregge. Difenderlo dai pericoli e dalle insidie del nemico e dei falsi pastori. È questo il ruolo che il pastore è chiamato a svolgere nei confronti della porzione di gregge a lui affidato. «Vi darò pastori secondo il mio cuore, i quali vi guideranno con scienza e intelligenza» (Ger 3,15). La profezia di Geremia si avvera nella Chiesa ogni volta che Dio suscita dei pastori che proseguono l’opera di Cristo, “pastore supremo” (1 Pt 5,4): quella di radunare, guidare e proteggere il suo popolo.

Benedetto XVI: al servizio del gregge

Ad un anno dalla morte di Benedetto XVI non possiamo che ringraziare il Signore per il dono che ci ha fatto di un tale pastore che ha servito con amore il gregge a lui affidato fino alla fine dei suoi giorni, definendosi «un umile lavoratore nella vigna del Signore». Lo ha fatto con amore a Dio e alla Chiesa. Lo ha fatto con “scienza e intelligenza” mettendo a servizio della Chiesa le sue doti intellettuali, la sua capacità dialettica, il suo “amore per le lettere”, la sua profonda conoscenza delle scienze teologiche ma anche la sua esperienza pastorale.

Benedetto ha radunato il gregge con il suo costante sforzo per approfondire i misteri di Dio e con azioni mirate alla riconciliazione (col mondo della cultura, con i lefebvriani, con gli anglicani…). Ha difeso il gregge denunciando il pericolo di una dittatura del relativismo che minaccia le basi della fede e della società civile. Infine ha guidato il gregge mettendosi a servizio col suo esempio di pastore mite e di servo fedele.

Verità e carità, cuore e ragione

Come sacerdote, come vescovo, come cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e come Sommo Pontefice, Joseph Ratzinger ha saputo unire verità e carità, teologia e vita, intelletto e cuore, conscio che ogni uomo ha il diritto alla verità, una verità che libera e salva, mentre una carità senza verità diventa misericordia a buon mercato che consola ma non salva. Per questo scelse come motto episcopale “Cooperatoris Veritatis” (3Gv 8) che diventò un programma di vita: quello di prodigarsi affinché la verità possa rivelarsi e i cristiani camminino in essa («Non ho gioia più grande di questa: sapere che i miei figli camminano nella verità» 3Gv 4).

I media, così come i suoi detrattori (ogni uomo di Dio ne ha in dono dalla Provvidenza una quantità adeguata ai suoi meriti) lo hanno dipinto come un freddo studioso, un severo inquisitore interessato alla scienza e disinteressato alla vita delle persone. Chi invece lo ha conosciuto ha potuto apprezzare la sua mitezza, la sua gentilezza e la sua disponibilità. In una parola la sua umanità, il suo essere pastore.

Un discorso storico

A chi oggi lo ricorda con affetto e nostalgia ha lasciato un’eredità tutta da scoprire. Un’eredità umana, spirituale e teologica, ricca, pregnante e profonda che è oggi oggetto di studi e di approfondimenti e che è stata recentemente attenzionata dai professori del Collège de Bernardins. Proprio in quel santuario cistercense della Cultura cristiana e del dialogo (vero dialogo) con il mondo culturale, Benedetto XVI rivolse uno storico discorso incentrato sulla nascita, il ruolo e il futuro della teologia come un “quaerere Deum“, cercare Dio. «Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere», orientati «in modo escatologico», i monaci cristiani «dietro le cose provvisorie cercavano il definitivo». Questo, ha affermato Benedetto XVI è «l’atteggiamento veramente filosofico: guardare oltre le cose penultime e mettersi in ricerca di quelle ultime, vere».

Benedetto XVI e il vero umanesimo

La ricerca di Dio è il vero umanesimo, l’oblio di questa ricerca rappresenta invece la «capitolazione della ragione», la rinuncia alle sue più alte aspirazioni e la fine della cultura umanista. In questo senso un insegnamento fondamentale che ci lascia Benedetto XVI riguarda proprio il ruolo della ragione che, lungi dall’essere uno strumento per esercitare il potere (anche nell’ambito ecclesiastico e pastorale) diventa uno strumento per la ricerca della verità ultima, di Dio e – allo stesso tempo – una via per la santificazione (riprendendo un tema caro a San Bonaventura).

La missione della teologia

Cercare la verità, andargli incontro, annunciarla al mondo. Questo è il cammino cristiano, questa la missione della teologia. Consapevoli che «l’annuncio cristiano non consiste in un pensiero ma in un fatto»: Cristo, il Logos, si è mostrato si è reso intellegibile, accessibile, ragionevole. In una parola si è fatto carne per essere accolto. «Certamente occorre sempre l’umiltà della ragione per poter accoglierlo; occorre l’umiltà dell’uomo che risponde all’umiltà di Dio», concludeva Benedetto XVI a Parigi. Nel 2010 parlando di San Bonaventura Benedetto XVI citò l’elogio funebre scritto da un anonimo notaio pontificio: «Uomo buono, affabile, pio e misericordioso, colmo di virtù, amato da Dio e dagli uomini…». Questo possiamo dire del suo discepolo e confratello nel collegio cardinalizio Joseph Ratzinger, che fu papa Benedetto XVI.

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