Benedetto XVI in visita ai Castelli Romani. Rispondendo alle domande dei giornalisti, il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, ha affermato che “come mi ha indicato monsignor Georg Gänswein stamattina il Papa emerito nel pomeriggio di ieri, alle ore 16.15, si è recato ai Castelli Romani, prima a Castel Gandolfo, con una sosta nei giardini e al belvedere per la passeggiata e la recita del Rosario, poi al Santuario della Madonna del Tufo a Rocca di Papa e infine, insieme a monsignor Raffaello Martinelli, alla Curia vescovile di Frascati dove si è fermato per la cena. Alle ore 22.30 ha fatto ritorno al Monastero Mater Ecclesiae. La visita faceva seguito a un invito di monsignor Martinelli“. Con l’abdicazione di Joseph Ratzinger si è aperta sei anni fa una stagione senza precedenti in due millenni di storia cristiana: quella di un pontificato regnante e di un pontificato emerito. In una delle loro conversazioni, Peter Seewald, il suo intervistatore e amico, bavarese come lui, ha chiesto a Benedetto XVI: “Lei è la fine del vecchio o l’inizio del nuovo?”. La risposta è stata una rasoiata: “L’una e l’altro”. Nel congedarsi, alla fine di febbraio del 2013, dal Soglio petrino, Joseph Ratzinger ha tenuto a precisare che nella sua elezione a papa c'è qualcosa che rimarrà “per sempre“.
Azione e contemplazione
Non ha mai smesso di inossare l'abito bianco, firma come “Benedictus XVI Papa emeritus”, abita nel recinto di San Pietro e si fa chiamare “Santità” e “Santo Padre”. Viviamo l’epoca inedita dei due Papi che condividono fraternamente lo stesso spazio fisico (il Vaticano) e la medesima dedizione al bene supremo della Chiesa. Il 20 maggio 2016 è stato il suo segretario, l’arcivescovo Georg Gänswein, a ribadire che Benedetto XVI “non ha affatto abbandonato l'ufficio di Pietro”, anzi, ne ha fatto “un ministero allargato, con un membro attivo e un membro contemplativo”, in “una dimensione collegiale e sinodale, quasi un ministero in comune”. Una condizione del tutto singolare e anomala, scaturita dal gesto-choc dell’abdicazione, un’inaudita rottura nella storia del papato, talmente sorprendente da far parlare lo stesso monsignor Gänswein di “una sorta di stato d'eccezione voluto dal Cielo”. E, come ha sottolineato il vaticanista Sandro Magister, “la novità assoluta non è la rinuncia, ma il dopo”. Quando il 13 dicembre 1294 Celestino V annunciò il suo abbandono del pontificato “discese dalla cattedra, prese la tiara dal capo e la pose per terra; e mantello e anello e tutto se ne spogliò di fronte ai cardinali sbalorditi”, e tornò semplice monaco, in totale ritiro dal mondo.
Enigma insoluto
Al contrario Francesco e Benedetto vivono “quasi un ministero in comune“, secondo la definizione del più stretto collaboratore di Ratzinger. E’ stato rintracciato a ritroso più di un segno premonitore della storica rinuncia di Joseph Ratzinger al pontificato. Soprattutto l'anello del pescatore, il simbolo della potestà pontificia, sfilatosi per errore nella Messa celebrata alla Cappella Sistina secondo il ripristinato rito antico (anello che in seguito scomparve ancora dal suo anulare per la frattura al polso durante la vacanza in Val d’Aosta) e la preghiera del 2009 nella Basilica dell’Aquila proprio sulla tomba del suo antico predecessore dimissionario Celestino V quando sussurrò all’arcivescovo della città: “Questo è fatto che fa pensare”. Chissà se nel cuore meditava di seguire il suo esempio. Il papato emerito, quindi, come enigma insoluto. Ma soprattutto come dono e servizio inediti alla Chiesa universale.