Il suicidio è spesso l'ultima goccia di un accumulo di infelicità e dolore. Le popolazioni aborigene australiane e gli isolani dello stretto di Torres hanno subito espropriazioni, deportazioni, violenze di vario tipo e molto altro. Così, spesso, alcuni hanno deciso di fare della propria vita ciò che sembrava meno doloroso”, uccidendosi. E’ l'allarme lanciato dai Vescovi cattolici australiani nel loro messaggio annuale per la domenica dedicata ad aborigeni e agli isolani dello Stretto di Torres, che si terrà il prossimo 7 luglio.
La lettera
“La tragedia del grande numero di suicidi tra i membri di queste popolazioni, soprattutto tra i più giovani – proseguoni i prelati – ci chiama all'azione: questa realtà è triste ed inaccettabile. Per noi cristiani, Gesù è venuto a portare vita piena. Ci sta chiamando per lavorare insieme con amore e rispetto e per cercare una soluzione a questo tragico fenomeno”. La Lettera pastorale, pervenuta all'Agenzia Fides, pone l’accento sulla necessità di “una maggiore collaborazione per arginare la terribile perdita di vite umane provocata dal suicidio”, fenomeno sempre più diffuso all’interno di queste comunità. Nel messaggio, la Conferenza episcopale ricorda che “ci sono già molte realtà che lavorano a questo scopo, tra cui vari rami del Governo, comunità e organizzazioni della Chiesa ed altri gruppi”, che incontrano, però, una difficoltà: “Dobbiamo salvaguardare il principio di autodeterminazione. Possiamo camminare al fianco di queste comunità offrendo un sostegno amorevole, ma evitare la tentazione di intervenire con soluzioni rapide imposte dall’esterno”. Lo scopo è perseguibile, secondo i vescovi, seguendo 5 principi-chiave: “L’incoraggiamento alla collaborazione per massimizzare i risultati da parte delle organizzazioni già coinvolte; un reale rispetto del principio di autodeterminazione; il primato del bene comune al centro di tutti gli sforzi; una reale motivazione a migliorare le condizioni di questi popoli, senza secondi fini; la consapevolezza che prevenzione e cura sono entrambe necessarie”. Oggi, molti Aborigeni vivono ai margini delle città, mentre un numero consistente vive in insediamenti in remote aree dell'Australia rurale. Il furto e la distruzione dei territori ancestrali hanno avuto su di loro un impatto sociale e fisico devastante. Nel rapporto Il progresso può uccidere Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, ha denunciato che gli Aborigeni hanno 6 volte più probabilità di morire in età infantile rispetto agli altri cittadini australiani e 22 volte più probabilità di morire di diabete. La loro aspettativa di vita alla nascita è di 17-20 anni inferiore a quella degli altri australiani. Al contrario, ha spiegato l'organizzazione, gli Aborigeni che abitano nelle loro terre ancestrali vivono 10 anni di più rispetto a chi sta nelle comunità di reinsediamento.