La celebrazione della quarta domenica di quaresima si apre con un reiterato invito alla gioia, che l’antifona d’ingresso riprende dal profeta Isaia: “Rallegrati [Laetare], Gerusalemme, e voi tutti che l’amate radunatevi. Sfavillate di gioia con essa, voi che eravate nel lutto. Così gioirete e vi sazierete al seno delle sue consolazioni” (cf. Isaia 66,10-11). Si tratta della cosiddetta “domenica Laetare” (come la terza domenica di Avvento, chiamata “Gaudete”). Alla tonalità penitenziale quaresimale si aggiunge un tocco di gioia per l’avvicinarsi della Pasqua e, invece dei paramenti liturgici di colore viola, si possono usare quelli di colore rosa. Piccoli segni che annunciano la gioia pasquale ed invitano il cristiano ad “affrettarsi con fede viva e generoso impegno verso la Pasqua ormai vicina”, come chiediamo nella preghiera iniziale (colletta).
La necessità dell’amore
Amore e misericordia sono il filo conduttore che collega le tre letture. Attorno ad esse troviamo tutto un corollario di concetti che sono al centro del messaggio cristiano: credere/fede, grazia/dono, luce/tenebre, opere buone/opere malvagie, salvezza/perdizione, vita/morte… Ma tutto dipende da un “BISOGNA”: “Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo”!
Il brano del vangelo è la conclusione del dialogo di Gesù con Nicodemo, “uno dei capi dei giudei” che viene da lui, di notte, forse colpito dal suo gesto profetico della purificazione del Tempio. Nicodemo è un uomo sincero, alla ricerca della luce e della verità, che simpatizza con Gesù. Infatti cercherà di prendere le sue difese beccandosi un rimprovero di ignorante delle Scritture (Giovanni 7,50-52). Dopo la morte di Gesù, Nicodemo collabora con Giuseppe di Arimatea per seppellire il corpo del Signore (19,39).
Il testo inizia in un modo piuttosto enigmatico: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo” (v.21). Gesù fa riferimento all’episodio raccontato nel libro dei Numeri, cap. 21, quando il popolo di Israele nel deserto, morso dai serpenti, invoca Dio, e allora “Il Signore disse a Mosé: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita»”
In questo v.21 appare la forma verbale “bisogna” (δεῖ, dal verbo greco δεῖν, dein). Lo stesso verbo lo troviamo nei quattro vangeli nel primo annuncio della passione, morte e risurrezione di Gesù, tradotto con “dovere”: “Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva (δεῖ) andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno” (Matteo 16,21 e paralleli Mc 8,31; Lc 9,22).
La passione e la morte di Gesù vengono da lui stesso presentate come una “necessità” (necessitas). Certo, la sua morte non è una “fatalità”, ma potremmo domandarci: da dove viene questa necessità, questo bisogno o dovere? Si potrebbe rispondere: da una disposizione divina o per adempiere le Scritture, ma queste motivazioni ci lasciano insoddisfatti. Il contesto del versetto suggerisce che la vera motivazione di questa “necessità” è l’amore: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito”. Anche San Paolo lo sottolinea nella seconda lettura: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo” (Efesini 2,4-10). È la sintesi di tutto il vangelo!
È l’amore che dice: bisogna! Non per imposizione della volontà o per dovere morale, ma per un trasporto del cuore. L’egoismo, invece, dice: “Che bisogno c’è? Chi me lo fa fare?”. Il “bisogno” di Dio di amare perdutamente, una volta accolto, crea il nostro bisogno di amare. Come cambierebbe la nostra vita, se a guidarla fosse il bisogno dell’amore! Allora la nostra fame di amore e di felicità sarebbe saziata; l’angoscia e la disperazione scomparirebbero; la ricerca spasmodica di senso svanirebbe; quante domande e perché si dissiperebbero!… perché il bisogno creato dall’amore è l’unica via della pace! Ecco perché il Signore piange sulla nostra povera umanità che non ha riconosciuto questo amore: “Quando fu vicino, alla vista della città pianse su di essa dicendo: Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi.” La conseguenza sarà la distruzione totale di Gerusalemme (Luca 19,41-44).
La prima lettura (2 Cronache 36) attribuisce la distruzione di Gerusalemme (prima dell’esilio) all’ira di Dio: “L‘ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio”. Questa è una rilettura frutto di una visione antropomorfica di Dio. In realtà “il percorso dal male commesso al male sofferto non passa attraverso l’ira divina” (card. Tolentino de Mendonça). Bisogna riconoscere che il male è davvero una cosa seria che non perdona e non risparmia nessuno. Le sue conseguenze possono trascinarsi per generazioni: “Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni” (prima lettura). Non ci sono scappatoie né sconti, purtroppo! Come combattere il male “accovacciato alla nostra porta”? (Genesi 4,7). Ecco due proposte suggerite dal vangelo.
La contemplazione del Crocifisso
La Parola di questa domenica è tutta un invito a sostare davanti alla croce, a fissare il nostro sguardo su Gesù, l’Amore esposto ed innalzato, e lasciarci attirare da lui: “E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Giovanni 12,32). Solo “tenendo fisso lo sguardo su Gesù” (Ebrei 12,2) possiamo vincere il male. San Daniele Comboni raccomandava ai suoi missionari di “tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo, amandolo teneramente, e procurando di intendere ognora meglio cosa vuol dire un Dio morto in croce per la salvezza delle anime. Se con viva fede contempleranno e gusteranno un mistero di tanto amore, saran beati di offrirsi a perder tutto, e morire per Lui, e con Lui” (Scritti, 2720-2722).
Guardando il Cristo “innalzato” (espressione giovannea che equivale a “glorificato”) possiamo essere guariti dal “veleno” del Serpente. Purtroppo noi viviamo una vita avvelenata dall’odio e dalla violenza, dall’egoismo che ci disumanizza, dalla corsa all’effimero, abbagliati da mille illusioni di una società consumistica… Solo la contemplazione del Crocifisso è l’antidoto a questi veleni! Nel nostro cuore si sono annidati numerosi serpentelli che, appena toccati, si destano, pronti a colpire. Solo la contemplazione del Crocifisso può stanarli e vincerli.
L’esposizione alla Luce
Riprendiamo il testo del vangelo. “La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce… Chiunque infatti fa il male, odia la luce… Invece chi fa la verità viene verso la luce”. La grande tentazione dell’uomo fin dall’inizio è quella di “nascondersi”. È un meccanismo che ci portiamo dentro tutti. In nostro rischio nella vita di fede è di abitare, più o meno inconsapevolmente, nella penombra, non troppo lontani dalla luce per non essere inghiottiti dalle tenebre, né troppo vicini alla luce per non dover affrontare la “vergogna” della nostra “nudità” (Genesi 3,8-10). La Quaresima è il momento propizio per rispondere alla voce di Dio “uscito” alla nostra ricerca: “Adamo/Eva dove sei?”. È il tempo opportuno per uscire dai nostri nascondigli, dalle nostre “tane” ed andare verso la Luce.
Concludo con una citazione di Martin Buber: “Adamo si nasconde per non dover rendere conto, per sfuggire alla responsabilità della propria vita. Così si nasconde ogni uomo, perché ogni uomo è Adamo e nella situazione di Adamo. Per sfuggire alla responsabilità della vita che si è vissuta, l’esistenza viene trasformata in un congegno di nascondimento. Proprio nascondendosi così e persistendo sempre in questo nascondimento “davanti al volto di Dio”, l’uomo scivola sempre, e sempre più profondamente, nella falsità. Il cammino delluomo”). La Quaresima è l’occasione favorevole per disinnescare questo “meccanismo di nascondimento”!
Come esercizio spirituale per la settimana vi propongo:
1) Ritagliare dei tempi e degli spazi per contemplare il Crocifisso;
2) Trovare una occasione per la celebrazione personale del Sacramento della Penitenza.