Una scuola per imam del mondo è la ricetta del Marocco contro la radicalizzazione. Nel cuore del quartiere universitario di Rabat centinaia di aspiranti imam (marocchini ma anche di Mali, Gabon, Gambia, Senegal, Costa d'Avorio, Nigeria, Ciad e altri Paesi tra cui la Francia) studiano dal 2015 tra le ceramiche e le fontane dell'Istituto di formazione per imam. È uno dei tasselli fondamentali della ricetta del Marocco per prevenire la radicalizzazione, per immunizzare l'islam dalle derive del terrorismo. In genere in occidente l’imam è considerato alla stregua di un parroco. In realtà è colui che guida la preghiera. Tra i sunniti, senza una gerarchia e un clero, è il predicatore, ma anche una sorta di punto di riferimento scelto dalla comunità. Allo stesso modo si parla di moschea come di una parrocchia. Ma è molto di più: sui tappeti della moschea si prega, si dorme, si studia, i bambini imparano le lingue, si cerca lavoro, si fa politica, si dirimono controversie. Apparentemente tutti, istituzioni e comunità, sono concordi su quanto sia necessaria un’emersione ufficiale di questi luoghi, con edifici più belli, più visibili, che abbiano il minareto o meno si vedrà.
Lezioni di dialogo
“L’Istituto di formazione degli imam mira a unificare il discorso religioso. La nostra speranza è che quando gli studenti tornano nei loro Paesi correggano i concetti erronei sull’islam come la jihad e il salafismo da cui deriva il pensiero terrorista”, spiega a LaPresse Abdesselam Lazaar, direttore dell’istituto Mohamed VI, passeggiando fra il patio e i giardini di questa struttura dalle tipiche decorazioni geometriche dell'arte islamica, con in sottofondo il gorgoglio dell'acqua delle numerose fontane. La scuola è stata voluta da re Mohammed VI, di cui questo mese ricorrono i 20 anni sul trono, ed è a lui che è intitolata. In virtù del sistema politico specifico del Marocco, è il sovrano ad aver dato l'impulso per la sua realizzazione in qualità di “comandante dei credenti”: il re è infatti l'unica figura che raccoglie in sé un ruolo sia politico che religioso. “È nel quadro dei fondamenti del Marocco che si svolge la vita religiosa di cui il comandante dei credenti è il garante. Questi fondamenti escludono ogni sorta di violenza e di estremismo”, sottolinea a LaPresse il ministro per gli Affari islamici Ahmed Toufiq, ricevendo LaPresse nel suo ufficio. Nell’Italia settentrionale una parte della comunità marocchina aderisce all’Associazione Partecipazione e spiritualità (Psm) che assieme all’Associazione islamica delle Alpi (che a Torino controlla le moschee Taiba e Rayan), è la filiale italiana del partito Giustizia e Carità, mai riconosciuto in Marocco. Dall’altra parte ci sono i sauditi che, anche in competizione con l’Ucoii, tramite la Lega musulmana mondiale, elargiscono finanziamenti per nuove moschee senza però un vero seguito popolare. Il loro punto di forza sono gli imam spediti per le esigenze di culto durante il Ramadan: sono predicatori di Stato, dunque del wahhabismo, la corrente più tradizionalista dei sunniti. Fra i banchi dell'istituto, dove papa Francesco è stato ricevuto a marzo del 2019, ci sono sia allievi che allieve: le donne non possono diventare imam ma solo “'morchidat”, cioè predicatrici. L'unica differenza rispetto agli imam è che non possono guidare la preghiera, spiega Lazaar. Non si studiano solo l'arabo e il Corano, che tutti devono conoscere a memoria, ma le sei ore di lezione al giorno prevedono diritto, informatica, nonché discipline pratiche come cucito o gestione di impianti elettrici: l'idea è che quando gli studenti stranieri tornano in Mali o in altri Paesi africani, in cui essere imam non garantisce loro un reddito sufficiente, possano conoscere un mestiere che permetta loro di guadagnarsi da vivere. E sui manuali si studiano anche le altre religioni, nonché per esempio l'origine del pensiero takfirista islamista, a mo' di vaccino per le derive radicali. Gli imam marocchini studiano nelle 'madrasa', ma chi riesce ad accedere all'istituto di Rabat non diventa solo imam, bensì un imam in grado di formare e aggiornare altri imam.
Selezione rigorosa
Delle 4mila richieste all’anno da parte di marocchini vengono accolte solo quelle di 150 uomini e 100 donne; per gli stranieri è invece più facile essere selezionati e l'ingresso è regolamentato da accordi bilaterali con i vari Paesi. Inaugurata nel 2015, la scuola è stata già ampliata nel 2017 e si prevede a breve la costruzione di un terzo padiglione. Fra queste vetrate colorate, il Marocco fa la sua parte per evitare che prendano piede visioni distorte dell'islam, tanto in Marocco stesso quanto altrove, evidenzia LaPresse. Nel Paese “ci sono circa 23mila prediche a settimana“, conclude il ministro per gli Affari islamici: “ciascuno le fa come vuole, ma nel quadro della tradizione profetica e nel quadro dei fondamenti” religiosi del Marocco di cui il re è garante, “che escludono ogni sorta di violenza ed estremismo”. In Italia si contano oltre 700 moschee. In gran parte sono garage, negozi, ex capannoni, addirittura sottoscala o cantine. Adibite a sale di preghiera e chiamate moschee. Se ne contano oltre 700 in tutta Italia. È una stima aggiornata di volta in volta, perché un numero preciso non c’è. C’è un vuoto legislativo che non permette l’emersione di luoghi istituzionali e costringe i musulmani a pregare dove possono. Perché se ne sentono il bisogno, lo fanno comunque, anche senza minareti. Per la preghiera del venerdì: alla Grande Moschea, a Roma Nord, nell’unica struttura riconosciuta tra le 700 come ente religioso, c’è la fila delle auto blu degli ambasciatori dei Paesi islamici. A Centocelle, periferia Sud, mentre un incaricato dell’imam raccoglie la carità tra i fedeli in uscita, un cartello sulla porta della moschea ricavata dal garage di un palazzone chiede di versare il 5 per mille all’associazione islamica che ha sede qui. Le scene, parallele, di un ordinario rituale settimanale, cristallizzano le due anime contrapposte della seconda religione in Italia per numero di fedeli: 1,6 milioni. Nella richiesta del 5 per mille, la quota dei contribuenti per il no-profit, c’è l’invito alla zakat (la carità), ma anche la necessità di colmare un altro vuoto: la mancata intesa dell’Islam con lo Stato e la conseguente impossibilità di beneficiare dell’8 per mille, riservato alle confessioni riconosciute.