La fonte della Moschea Aperta, ovviamente, resta il Corano. Ma la sua prospettiva è estremamente innovativa: “L’idea dell’apertura – continua Hargey – è maturata osservando i cambiamenti del Sudafrica dopo la fine del regime segregazionista. Venti anni fa abbiamo fatto una rivoluzione politica che ha innescato un’evoluzione positiva, ma oggi questa innovazione deve essere religiosa, soprattutto nella comunità islamica”. La visione di Hargey condanna le interpretazioni restrittive e reazionarie, come quella sul ruolo delle donne che secondo il professore “si diffuse dopo Maometto e purtroppo è finita col radicarsi”, e vuole aprire la strada ad un islam che ampli la propria concezione interreligiosa.
Venerdì, all’inaugurazione, si è visto un “melting pot” estremamente variegato di colori e provenienze, riflesso di una mentalità, quella sudafricana, che sta voltando pagina, camminando del tutto controcorrente rispetto al resto del pianeta.
Hargey è di colore e proviene da una famiglia estremamente modesta: sette fratelli, un padre commesso ed una madre che non sapeva leggere né scrivere. Abituato a combattere tra le mobilitazioni contro l’apartheid e quelle che combattevano il conservatorismo islamico, ha inaugurato la Moschea con un sermone incentrato sui rapporti interreligiosi, prendendo spunto direttamente dal versetto 82 del Corano: “Troverai che i più cordiali amici di coloro che credono (i musulmani) sono quelli che dicono: ‘Siamo cristiani!””.