Trump stupisce ancora, ma nuovamente in negativo. Non gli è bastato varare una legge per la costruzione di un muro di 2200 Km per separate gli Usa dal confinante (e poco gradito) Messico; né asserire che, in America, vige “un ambientalismo che ha passato il segno” puntando a una politica energetica basata (nuovamente) sui combustibili fossili.
Neppure “imbavagliare” gli impiegati federali impedendo loro qualsiasi forma di comunicazione con il pubblico ha frenato la sua svolta autoritaria. Ora, il 45esimo presidente degli Stati Uniti d’America vuole rinnovare (ma tornando al passato) anche il settore dell’intelligence e, in particolare, i metodi di interrogatorio.
L’amministrazione del magnate newyorkese sta infatti per dare l’autorizzazione definitiva alla riapertura di carceri segrete all’estero della Central Intelligence Agency (Cia), l’agenzia di spionaggio statunitense. Secondo la bozza di un nuovo decreto legge – in mano al quotidiano statunitense Washington Post – il provvedimento revocherebbe la decisione presa dal Presiedente Dem uscente Barack Obama nel 2009 che prevedeva la fine del programma della Cia sugli “interrogatori rafforzati” accusati di assecondare la tortura. Tra le tecniche in uso, anche quella assai discutibile del waterboarding.
Trump, praticamente, con la riapertura delle carceri Cia, ripristinerebbe un decreto varato nel 2007 dall’amministrazione (repubblicana) dell’ex presidente George W.Bush.
Nel testo divulgato dal quotidiano americano, che sembra ne possieda una copia, si sottolinea come gli Stati Uniti nell’ambito della lotta al terrorismo si siano “astenuti dall’esercitare alcune autorità fondamentali per la propria difesa”, compreso “uno stop a tutti gli interrogatori segreti da parte della Cia”.
Una scelta dell’amministrazione Trump che, come molte altre promosse dal giorno del suo insediamento, sembra puntare più che al bene della Nazione, allo “smantellamento” di quanto fatto dal suo predecessore democratico. Speriamo che questa operazione non faccia cadere anche le fondamenta di uno Stato, almeno sulla carta, costituzionalmente democratico.