Sono stati ingannati tutti dalla voce di un computer, probablmente, i dipendenti di una società energetica inglese che hanno creduto di essere al telefono con il loro…Ceo. Una banda di truffatori potrebbe essersi infatti servita di un programma di intelligenza artificiale per chiamare l'amministratore delegato dell'azienda spacciandosi per il suo superiore, che è di nazionalità tedesca, e chiedere di fare una serie di bonifici per un totale di 200mila euro.
L'accento tedesco
Sono state tre le telefonate in cui la voce ha imitato alla perfezione l'accento e “la melodia” – lo scrive il Wall Street Journal – del capo all'amministratore delegato. Gli chiedeva di versare dei soldi sul conto di un cliente ungherese e che l'operazione andava fatta entro un'ora. La vittima ci è caduta, ingannata dall'imitazione, e di nuovo ci è cascata quando, con una seconda chiamata gli è stato detto che l'operazione era andata a buon fine. Ma poi sono arrivati i sospetti con la terza telefonata, in cui si chiedevano altri soldi. A quel punto la vittima si è accortae che la chiamata veniva dall'Austria e non dalla Germania e non ha disponsto l'esborso. Ma intanto gli altri soldi erano già partiti per il Messico e da lì si erano volatilizzati su altri conti.
Il vero e il falso
Questo fenome si chiama deepfake, i prodotti di complessi algoritmi in grado di imitare alla perfezione volti e voci partendo dai modello originale. Basta ricordare come lo scorso giugno era stato fatto circolare in rete il video in cui un finto Mark Zuckerberg, presidente e fondatore di Facebook, annunciava di avere il controllo totale dei dati dei suoi utenti. Era “solo” un creazione provocatoria di due artisti, ma adesso questa tecnologia sarebbe stata usata per rubare. Fino a che punto siamo arrivati, fino a che punto abbiamo voluto rendere impalpabili i confini tra vero e falso, tra reale e digitale? Davvero vogliamo che non ci sia più distinzione tra queste dimensioni? Forse siamo ancora in tempo per rendercene conto e tornare sui nostri passi.