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Tienanmen, trent’anni di oblio ufficiale

Sono passati tre decenni ma Tienanmen è ancora un tabù in Cina. “Non sono d'accordo con l'utilizzo della parola repressione” a proposito della risposta che Pechino diede alle proteste di piazza Tienanmen: “nel corso dei passati trent'anni lo stabile processo di sviluppo e riforme della Cina e i suoi successi rispondono ampiamente a questa domanda”. Così un portavoce del ministero della Difesa cinese, Wu Qian, quando gli è stata fatta una domanda sulla posizione dell'esercito di Pechino a proposito dei fatti del 1989. Vari difensori dei diritti umani sono stati messi agli arresti in vista dell'anniversario della repressione delle proteste pro-democrazia e contro la corruzione il 4 giugno, mentre vari siti internet sono stati bloccati del tutto o in parte, secondo diverse associazioni.

Il simbolo proibito

L'argomento della risposta alle proteste di piazza Tienanmen è tabù in Cina. Tra gli attivisti agli arresti ci sono sei artisti che sono stati promotori della mostra intitolata “Un movimento di coscienza”, tenutasi a Nanchino; di uno di loro, Zhu Hun, la moglie ha denunciato che non si hanno più notizie da martedì. Lo scrittore dalle note posizioni critiche Shen Liangqing è stato fermato il 16 maggio per l'accusa di aver tenuto “comportamento provocatore” ed è stato messo in carcere a Hefei, ha fatto sapere il suo avvocato. L'organizzazione China Human Rights Defenders ha anche denunciato che tre persone sono state fermate a maggio per aver diffuso foto o commenti legati alla repressione dell'89. In parallelo, la censura cinese lavora per eliminare i contenuti considerati scomodi o 'pericolosi' sulle proteste da internet. Huya e YY, due popolari siti di video online, hanno annunciato che sospenderanno le trasmissioni in diretta sino al 6 e 7 giugno, ufficialmente adducendo “motivi tecnici”. Bilibili, un'altra piattaforma che diffonde video online, bloccherà da parte sua i commenti ai filmati sino al 6 giugno. E l'enciclopedia online WikiPedia, già bloccata in lingua cinese, è stata oscurata anche in tutte le altre lingue. “Un uomo solo davanti a un carro armato. Un’immagine simbolo del ventesimo secolo e di un anno, il 1989, che vide anche il crollo del Muro di Berlino. La rivolta degli studenti cinesi e i fatti accaduti in piazza a Pechino – spiega il professor Giovanni Andornino, politologo e docente di Relazioni Internazionali all’Università di Torino-. Quella di piazza Tienanmen è una storia breve quanto drammatica: tutto accade in un mese e mezzo. Il 22 aprile 1989, decine di migliaia di studenti scendono in piazza per i funerali di Hu Yaobang, il leader destituito nel 1987, dopo essere stato l’artefice delle riforme promosse da Deng Xiaoping. Tentano anche di consegnare al governo una petizione in cui chiedono, tra l’altro, la democrazia”. Da lì non si muovono più, iniziando anche uno sciopero della fame. Fino alla notte tra il 3 e il 4 giugno, quando interviene l’esercito e comincia la repressione. Immagini che fanno il giro del mondo e alle quali i Paesi occidentali rispondono “congelando” i rapporti con la Cina. Ma, intanto, il movimento studentesco, che pure aveva avuto qualche appoggio anche all’interno del Partito Comunista Cinese e il sostegno di altri strati della popolazione,  è stroncato: legge marziale, arresti, censura e un periodo di “chiusura” al mondo che durerà tre anni.

Il diverso senso del tempo

Nel 2019 è ancora “sbagliato” per le autorità cinesi parlare di “repressione delle proteste”. Del resto, sia o meno attribuibile davvero al premier cinese Zhou Enlai, è divenuta memorabile la frase pronunciata a un banchetto ufficiale per la storica visita del 1972 del presidente statunitense Richard Nixon a Pechino. “Cosa penso della Rivoluzione francese? Che è troppo presto per giudicarla”. Come dire, nel celeste impero, il tempo si misura in maniera diversa dall’Occidente. 

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