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Targa per una bambina torturata e uccisa dai partigiani, scoppia la polemica

Nel Paese dove la memoria condivisa è la più lontana delle utopie anche il ricordo di una bambina violentata e uccisa finisce col diventare motivo di stupide divisioni politiche. Parliamo Giuseppina Ghersi, torturata e giustiziata da un gruppo di partigiani nella primavera del 1945, perché accusata di essere una spia fascista (fatale per la sua condanna a morte fu una lettera di encomio ricevuta dalla segretaria di Benito Mussolini a seguito di un concorso scolastico).

La guerra, inutile girarci intorno o tentare approcci buonisti, comporta anche perdite di vite innocenti e nella sanguinaria lotta tra partigiani e nazifascisti a lasciarci la pelle furono anche donne, anziani e bambini. Ma se i crimini della Rsi e dei soldati tedeschi vengono (giustamente) rimarcati e condannati a prescindere, quelli della Resistenza, spesso, sono sottaciuti o sminuiti, quasi che ci fossero morti di serie A e di serie B.

La querelle è nata quando il Comune di Noli (Savona) ha deciso, su proposta di un consigliere di maggioranza approvata dal sindaco di centrodestra, di affiggere il prossimo 30 settembre una targa in ricordo della giovane, con tanto di cerimonia. L’iniziativa è stata ferocemente contestata dall’Anpi. “Giuseppina Ghersi al di là dell’età era una fascista – ha detto il presidente Samuele Rago – Eravamo alla fine della guerra è ovvio che ci fossero condizioni che oggi ci appaiono incomprensibili. Era una ragazzina ma rappresentava quella parte là. Una iniziativa del genere ha un valore strumentale protesteremo”.

La presa di posizione di Rago non ha trovato però d’accordo tutto il mondo partigiano, in particolare alcune sezioni della Liguria. La sindaca di Savona, Ilaria Caprioglio, da parte sua ha invitato tutti a riflettere sull’inutilità della polemica. “Non si deve rischiare di strumentalizzare un fatto accaduto settant’anni fa e dai contorni ancora oscuri – ha detto -. Quello che sappiamo è che si è trattato di una violenza terribile e di un abuso nei confronti di una bambina. Al netto dell’era fascista e di quello che significò allora, c’è stata una vita innocente spezzata, davanti alla quale credo si debba provare rispetto e silenzio. Basta urlarsi addosso l’uno con l’altro e giocare a chi si infanga di più. Non voglio parlare né di destra né di sinistra, invito a guardare alle nostre coscienze. Quello che importa è che questa violenza non si ripeta mai più, è su quello che accade oggi, sulle violenze e le emergenze di oggi, che ci dobbiamo impegnare e non usare episodi del passato come una clava da qualunque parti questo avvenga. La vicenda di Giuseppina Ghersi ci dice fino a che punto la ferocia dell’uomo può spingersi, oggi come allora. Riflettiamo”.

Secondo quanto riportato nell’esposto depositato dal padre della vittima alla Procura di Savona nel 1949, la figlia venne prelevata con la forza da alcuni partigiani. Fu picchiata e seviziata davanti ai genitori (“la presero a calci giocando a pallone con lei” scrisse il padre). Fu rasata a zero, le venne dipinta la testa di rosso e poi fu finita con un colpo di pistola alla nuca. E’ vergognoso che una vicenda tanto atroce, dopo oltre 70 anni, in un Paese oggi imbevuto (vivaddio) di valori democratici e libertari, possa essere motivo di divisioni. Viene da pensare che l’unica vera colpa di Giuseppina sia stata quella di essere uccisa dalle persone sbagliate

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