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Sdraiati sull'asfalto si fanno selfie mentre passa l'auto

Da sempre i ragazzi e le ragazze, nella fase tra la preadolescenza è l'età adulta, hanno cercato situazioni di pericolo. Per l'adrenalina che danno e per l'ammirazione che si può ricevere se si salva l'osso del collo. Nel racconto “Il corpo” (da cui è stato tratto il film “Stand by me-Ricordo di un'estate”), all'interno della raccolta “Stagioni diverse”, lo scrittore americano Stephen King ha inserito un personaggio, un ragazzino di 13 anni, che si mette in mezzo alla strada o sui binario del treno, attende che il veicolo si avvicini e all'ultimo momento si tuffa di lato per evitarlo. Un 'gioco' che alla faccia del trascorrere tempo, purtroppo, non passa di moda. Lo raccontano le cronache di questi ultimi anni, anche se la sfida si è aggiornata al mondo dei social.

Il planking

La challange, il nome di queste pratiche al tempo di Instagram, in questione consiste nello sdraiarsi su una strada non molto trafficata e aspettare che arrivi un'auto, scattandosi foto da pubblicare in rete o con i propri amici che guardano stando nascosti. Il malcapitato autista che si troverà davanti all'improvviso qualcosa per terra, non sempre rendendosi conto che si tratta di una persona, sarà costretto a sterzare o frenare violentemente per non investire il ragazzo o la ragazza distesi per terra, correndo a sua volta un pericolo. Sembrerebbe nato da un gioco che si praticava negli Stati Uniti, il “Planking”, ma che si teneva nelle aree pedonali e serviva per indicare alle persone che c'è sempre un altro punto di vista da cui guardare le cose. Nel giro di pochi anni la versione degenerata del “Planking” si è diffuso rapidamente e le segnalazioni su Facebook o alle autorità arrivano da tutta Italia. Le più recenti, quella del sindaco di Castelverde, in provincia di Verona, Graziella Locci e di una donna di Carrara che ha denunciato un gruppo di dieci giovani a dicembre. Il gruppetto si era sdraiato sulle strisce pedonali di una via cittadina nel cuore della notte e si erano dileguati nel buio ridendo dopo che una vettura li aveva evitati per un soffio. Andando indietro nel tempo, però, si risale fino a vent'anni fa. Era il 1999 quando una donna di Foppenico, in provincia di Lecco, raccontò di aver schivato all'ultimo istante un ragazzino steso sulla strada.

Giochi di morte

La maggior parte di queste sfide anche mortali si diffondono grazie ai social network e alle chat private in uso tra i giovani e i giovanissimi, mondi sempre più connessi e chiusi al tempo stesso, dove si usano codici quasi indecifrabili per il mondo degli adulti, e possono essere senza ritorno. Risale a due anni fa il caso Blue Whale, un 'gioco' nato in Russia che consisteva in una serie dichallange di tipo autolesionistico sempre più rischiose da condividere in rete. Dei ragazzi sono morti per questo, per essersi spinti fino all'ultimo livello. In Russia, dove il gioco è nato, sono deceduti 157 giovani. In Italia nel febbraio dello stesso un 15enne di Livorno si è suicidato gettandosi dall'ultimo piano di un palazzo, per 'completare' il gioco Blue Whale. Più recenti ma non più sani invece il “Blackout game”, che consiste nel soffocarsi o farsi soffocare fino a svenire sotto gli occhi del gruppo, e il “Tide pod challange”, ovvero filmarsi mentre si addenta una capsula di detersivo fino a farne fuoriuscire il contenuto rischiando di intossicarsi.

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