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L’Europa è ferma: “La sculacciata è reato”

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Educare i bambini, senza usare in alcun modo la violenza, è previsto dalla Carta sociale europea, principio più che mai giusto. A vigilare sul suo rispetto c’è il Comitato europeo per il diritto sociale – con  47 Paesi del continente membri – che questa volta ha tirato le orecchie alla Francia, la quale è stata portata anche in giudizio. Il verdetto è stato piuttosto scontato: il Paese dovrà dotarsi di una legge che proibisca esplicitamente e condanni la sculacciata e ogni altra punizione corporale nei confronti dei minori.

Il Comitato, lo stesso che nel maggio 2014 aveva ripreso anche l’Italia per via della legge 194 che riconosce il diritto all’obiezione di coscienza, ha sancito che Parigi non rispetterebbe l’articolo 17 della Carta sociale europea, perché non ha nel proprio ordinamento un “divieto chiaro, vincolante e preciso delle punizioni corporali”. A chiedere la condanna del Paese era stata l’ong bitannica Approach, che ha presentato ricorsi per lo stesso motivo anche ad altri cinque Stati membri del Consiglio d’Europa, ovvero Irlanda, Slovenia, Repubblica Ceca, Cipro e Belgio.

Se le intenzioni sono nobili, c’è il rischio di non distinguere un abuso di mezzi di correzione o di disciplina, come la violenza sui minori da una semplice sculacciata dei genitori. Ma a Strasburgo vige una convinzione: l’educazione è qualcosa che va regolamentata solamente per legge senza valutare il buonsenso dei genitori. Se questo può essere vero nella stragrande maggioranza dei casi – infatti essere madre o padre non può autorizzare in nessun caso l’uso di una reale violenza sul bambino – il rischio di un’eccessiva demonizzazione dell’educazione genitoriale è evidente.

Oggi sono 27 i Paesi del Consiglio d’Europa che dispongono di una legge che proibisce ogni tipo di punizione corporale sui bambini. Il primo a dotarsi di una normativa in materia fu la Svezia nel 1979, ma nei soli anni tra il 2000 e il 2007 una ventina di Paesi ne hanno seguito l’esempio, dalla Germania alla Spagna. Una normativa analoga vige anche in 17 Paesi extra-europei, tra i quali 6 africani (incluso il Sud Sudan) e quasi tutta l’America Latina.

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