La compagnia aerea australiana Qantas ha deciso di occuparsi non solo di organizzare i voli, ma anche di cambiare il lessico per la cosiddetta “uguaglianza di genere”.
E' stato infatti diffuso un opuscolo che contiene una serie di informazioni per invitare il personale di bordo ad utilizzare parole che non urtino la sensibilità delle persone omosessuali. E' così che vengono banditi termini specifici di genere, o parole come “dolcezza”, “amore” e “ragazzi”, giacché sono usati spesso come vezzeggiativi e possono arrecare offesa. E viene suggerito l'utilizzo di “partner”, “coniuge” e “genitori”, invece di “marito”, “moglie”, “mamma” e “papà”. Nell'opuscolo si legge che “riferirsi sempre a 'mamma' e 'papà' può far sentire molte famiglie escluse – sia coppie dello stesso sesso che famiglie monoparentali”.
Lesley Grante, dirigente di Qantas, ha dichiarato: “Siamo orgogliosi di avere una lunga tradizione di promozione dell’inclusione sociale tra i nostri dipendenti e clienti. Abbiamo sempre supportato l’uguaglianza tra i generi, i matrimoni tra le coppie dello stesso sesso e i diritti degli indigeni”.
La scelta della compagnia di suggerire un linguaggio per l'uguaglianza di genere non è piaciuata a Tony Abbott, ex primo ministro australiano, il quale ha dichiarato al giornale 2GB che “il politicamente corretto è andato ben oltre i limiti”. “Francamente, se aziende come la Qantas vogliono offrire ai loro clienti un trattamento migliore, possono rottamare tutte queste iniziative per l'inclusione, semplicemente scartarle, risparmiare perché è semplicemente spazzatura questa idea secondo cui abbiamo bisogno di una polizia di pensiero aziendale”, ha detto Abbott. Che ha aggiunto: “Credo davvero che sia un completo, assoluto spreco di denaro”.
L'ex primo ministro australiano ha elogiato il personale della compagnia Qantas, sui cui aerei afferma di aver viaggiato “centianaia di volte”, e sottolinea che questo opuscolo “è un insulto per loro, a prescindere dal grande spreco di denaro, ma temo che questi siano tempi davvero strani in cui viviamo“.