I cinesi gridano allo scandalo: in questi giorni stanno circolando sui social le foto di una lunga sezione della Grande muraglia “ripavimentata” con una colata di cemento. Il “restauro” del governo locale, della contea di Xiaohekou, nel nord del Paese, è avvenuto già nel 2014, ma è diventato di dominio pubblico nei giornis corsi, quando le foto postate in un forum sono diventate virali su Weibo, il twitter cinese, dove non si è esitato a definire l’evento “una catastrofe per la civiltà umana”.
Il governo locale si è difeso sostenendo che aveva seguito i regolamenti di “messa in sicurezza dell’opera”, ma gli utenti e i media che si sono subito affiancati all’indignazione popolare hanno ricordato che l’Ordinanza per la protezione della Grande Muraglia emessa nel 2006 prevede che «riparazioni e restauri rispettino il principio di preservazione dello scenario originale».
La storia della muraglia, le cui parti più antiche vengono datate al III secolo a.C., si fa risalire al primo regno cinese quando Qin Shi Huangdi, il primo augusto imperatore per l’appunto, avendo conquistato e unificato sotto il suo domino diversi territori fece accorpare più spezzoni di mura in un’unica struttura difensiva che avrebbe difeso il nuovo Stato dalle popolazioni nomadi che lo insidiavano. Nei secoli la struttura muraria fu più volte ampliata e ricostruita e sin dai tempi più antichi è il simbolo della Cina unita.
Eppure ogni anno la situazione della Grande Muraglia, patrimonio Unesco dal 1987, peggiora. Si pensi che le stime sulla sua lunghezza variano ormai tra i 9mila e i 21mila chilometri e che, secondo la stessa Amministrazione statale per il patrimonio culturale cinese (Sach), solo il dieci per cento è ben conservato. Non è una buona media. Soprattutto se i pensa ai siti cinesi di valore artistico-archeologico meno noti. Solo i patrimoni Unesco su suolo cinese sono 50, uno in meno rispetto al record italiano.