Delle oltre 20mila donne che si sono rivolte a un centro antiviolenza (cav) nei primi cinque mesi del 2002, quasi una su dieci lo ha fatto per cause scaturite dagli effetti della pandemia, come la convivenza forzata o la perdita del lavoro. Aumentano complessivamente del 79,% le chiamate al 1522, il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking, soprattutto dalle giovani ragazze fino ai 24 anni e da parte delle donne con più di 55 anni. Crescono le violenze da parte dei familiari mentre restano stabili i casi in cui gli autori sono i partner. L’incremento delle donne accolte nei cav nel periodo di riferimento appare contenuto rispetto ai primi cinque mesi dell’anno precedente (+1,1% sul 2019), ma gli ingressi nelle Case rifugio calano dell’11,6%. Le regioni del Nord-Ovest registrano una miglior capacità di adottare strategie di allontanamento della donna dal nucleo familiare di appartenenza registrato, con un +20,7% rispetto all’anno precedente, mentre si osserva un peggioramento nel Nord-Est (-29,9%), nelle isole (-24,3%) e al Sud (-19%).
Lo rende noto l’Istituto nazionale di statistica (Istat) con la pubblicazione del report Le richieste di aiuto durante la pandemia lunedì 17 maggio 2021.
Richieste d’aiuto
Dopo il primo mese di lockdown, a marzo 2020, la primavera dello scorso anno ha registrato un boom di chiamate con picchi ad aprile (+176,9% rispetto allo stesso mese del 2019) e a maggio (+182,2%) e in occasione della giornata in cui si ricorda la violenza contro le donne, il 25 novembre.
La violenza segnalata al 1522 è soprattutto fisica (47,9%), ma quasi tutte le donne hanno subito più di una forma di violenza e tra queste emerge quella psicologica (50,5%). Rispetto agli anni precedenti, sono aumentate le richieste di aiuto delle giovanissime fino a 24 anni (11,8% nel 2020 contro il 9,8% nel 2019), e delle donne con più di 55 anni (23,2% nel 2020; 18,9% nel 2019). Le violenze riportate sono soprattutto opera di partner (57,1% nel 2020) ed ex partner (15,3%) ma sono in crescita anche quelle da parte di altri familiari (genitori, figli), che raggiungono il 18,5% (12,6% nel 2019). Il 1522 ha costituito nel 2020 un nodo centrale per l’attivazione di servizi a supporto delle donne: il 76,5% delle chiamate è stato infatti indirizzato ad altri servizi. Nel 67,9% dei casi (corrispondenti a 10.266 donne) è stata data indicazione di rivolgersi ai Centri e Servizi Anti Violenza più vicini.
Differente accoglienza
Durante i primi 5 mesi del 2020 20.525 donne si sono rivolte ai cav, ma con differenze territoriali molto accentuate. Con una media di 73 donne accolte per centro, il valore statistico sale a 108 nel Nord-Est del Paese, a a circa 95 nel Centro, mentre si abbassa nelle Isole e al Sud, dove i centri hanno accolto rispettivamente una media di 43 e 47 donne – il Meridione ha sempre presentato una media di donne accolte minore rispetto alle altre ripartizioni.
L’incremento delle donne accolte dai cav nei primi 5 mesi del 2020, rispetto ai primi 5 mesi del 2019, non è importante (+1,1%), ma sul territorio le differenze sono rilevanti. Nelle isole la crescita è stata del +41,5%, al Sud del +21,1% al Sud, al Centro del +5,4% del Centro e nel Nord-Est del 5,2%, per contro nel Nord-Ovest si è avuto un calo del 16,4%. Tra le donne che si sono rivolte ai Centri nei primi 5 mesi del 2020, l’8,6% lo ha fatto proprio a causa di circostanze scatenate o indotte dall’emergenza dovuta al Covid-19, come ad esempio la convivenza forzata, la perdita del lavoro da parte dell’autore della violenza o della donna.
Adattarsi all’emergenza
Nella prima metà dello scorso anno, sei centri su 281 hanno interrotto il servizio a causa del periodo di emergenza. Nello specifico tre in Lombardia, uno in Veneto, nel Lazio e in Abruzzo. Quasi tutti i Centri – soprattutto quelli che hanno lavorato continuativamente in maniera integrata con la rete territoriale antiviolenza – hanno modificato le modalità di erogazione dei propri servizi, introducendo la possibilità di avere colloqui telefonici (95,4 per cento dei Cav) e di comunicare e ricevere supporto via email (66,5 per cento). Il 67,3 per cento dei Centri ha mantenuto la possibilità di recarsi al Centro, garantendo il rispetto del distanziamento e della protezione previsti dalle norme anti Covid-19. A differenza di questi, nei Centri che invece lavorano in modo isolato sul territorio di propria competenza, le quote sono in entrambi i casi pari al 48 per cento.
Case rifugio
Le donne ospitate nelle Case rifugio nei primi cinque mesi del 2020 sono state 649, un numero minore (-11,6%) rispetto allo stesso periodo del 2019, quando sono state 734. E’ infatti l’ospitalità che ha risentito maggiormente della situazione emergenziale dovuta al Covid-19. Per non mettere in pericolo le donne già residenti nelle Case, le operatrici hanno adottato altre strategie come l’ospitalità in bed and breakfast o in altre collocazioni provvisorie, rese disponibili anche con il supporto delle Prefetture
In controtendenza il dato positivo del Nord-Ovest, dove i Cav sono stati comunque in grado di gestire le situazioni che richiedevano un allontanamento urgente della donna dal nucleo familiare di appartenenza (+20,7 per cento). In questi casi sui territori si dispone, in generale, di una migliore offerta nel settore della protezione. All’opposto si situano il Nord-est (-29,9 per cento), le Isole (-24,3 per cento) e il Sud (-19 per cento).
Aprile è stato il mese più critico dal punto di vista dell’ospitalità delle donne in emergenza, con un trend discendente da gennaio (180 donne ospitate) fino ad aprile (95) e in lieve ripresa a maggio (111). Quasi il 6% delle donne ha ricevuto ospitalità a causa del peggioramento o dell’insorgenza della violenza scatenata dalla pandemia, con valori più elevati al Sud (7,4 per cento) e nelle Isole (7,1 per cento) e minimi al Centro (2,7 per cento). Tra le regioni emergono Veneto (27,3 per cento), Liguria (17 per cento), Sardegna (14,3 per cento), Puglia (12,1 per cento) e Lazio (11,5 per cento).
“L’attenzione data dai media al ruolo dei centri antiviolenza in questo periodo – ha commentato Antonella Veltri, presidente di Donne in rete contro la violenza (D.i.Re), che riunisce 82 organizzazioni di donne che gestiscono oltre un centinaio di centri antiviolenza in tutta Italia – sembra aver incoraggiato un numero crescente di donne a interrompere relazioni violente. Questo conferma dunque quanto il fenomeno della violenza maschile contro le donne – conclude – sia ancora sommerso e davvero molto più vasto di quello che finora raccontano i dati”.