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Verso la Brexit: la sfida della transizione

Forse c'è stato, non più tardi di qualche mese fa, un momento in cui più di qualcuno avrà pensato che la questione Brexit fosse destinata ad andare in archivio, sfaldando la politica inglese ed esasperando i cittadini britannici, ormai nemmeno più certi di volerla davvero. La prima ipotesi, successiva non tanto alla fine del governo May quanto alle difficoltà iniziali di quello Johnson, è stata spazzata via dalle elezioni di dicembre, finite con un trionfo per il leader Tory. La seconda forse si è sfiorata maggiormente, visto che un'eventuale bocciatura del premier da parte dei cittadini inglesi avrebbe probabilmente compromesso definitivamente il processo di uscita dall'Unione europea, anche considerando che un nuovo referendum avrebbe offerto tutto tranne che garanzie di poterci riprovare. Ora, invece, con Johnson saldamente al timone di Downing Street e a meno due giorni dall'uscita del Regno Unito dal puzzle europeo, gli unici dubbi sono legati ai tempi di definizione definitiva dei nuovi rapporti fra Londra e Bruxelles. E alla fine, anche il Parlamento europeo ha dato il via libera: 621 favorevoli, i contrari 49 e gli astenuti 13. Tutto pronto per il 31 gennaio.

Agenda piena

Nigel Farage lo ha definito “un punto di non ritorno“. Il leader del Brexit Party, eurodeputato, ha parlato poco prima del voto dell'Eurocamera sulla Brexit, non risparmiando paragoni importanti per quanto sta per accadere al Regno Unito: “Per noi è probabilmente la cosa più importante da quando Enrico VIII ha portato il paese fuori dalla Chiesa di Roma”, ribadendo che il referendum che ha condotto alla Brexit “è stato un esercizio di democrazia diretta”. Posto questo, resta da capire se le parti ancora in via di definizione andranno in porto senza intoppi. Di sicuro ci vorrà del tempo ma comunque una soluzione sensata in ottica futura, con il lasso temporale giusto per mettere a punto tutti i passaggi fondamentali sulle relazioni commerciali e sui progetti comuni (Erasmus compreso, che comunque dovrebbe restare), dovrà essere trovata. Grosso modo, tutto dovrà essere perlomeno messo a fuoco entro dicembre 2020, in tempo per essere sottoposto all'esame della pleanaria dell'Europarlamento. I temi più urgenti sono gli stessi di qualche settimana fa: accordi commerciali, messa a punto completa della questione backstop e necessario chiarimento sulla pesca nei tratti di mare appartenenti a Paesi dell'Eurozona.

La sfida ittica

Tema, quest'ultimo, particolarmente sensibile ed economicamente rilevante visto che l'industria ittica significa un apporto di oltre 1,5 miliardi di sterline per le casse britanniche. Da mesi le aziene e le società del pesce stanno cercando di definire il futuro della pesca nei mari europei, con la Gran Bretagna che applicherà ai suoi spazi marittimi nuove regolamentazioni che, a ogni modo, dovranno coincidere con quelle dei Paesi Ue. Il rischio è che i pescherecci britannici, qualora un accordo non si trovasse, potrebbero perdere gli accessi alle acque più densamente abitate dalle specie ittiche maggiormente commerciate dai mercati anglosassoni, con la ripresa del controllo delle proprie acque territoriali (dove gettano le proprie reti Paesi come Danimarca, Francia, Paesi Bassi, Belgio e la stessa Irlanda) che potrebbe non bastare per garantire gli stessi standard di mercato.

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