Scoperte altre 2 spie del morbo di Parkinson, malattia neurodegenerativa. I sintomi più tipici della malattia sono legati al movimento ed includono tremori a riposo, rigidità, lentezza nei movimenti ed instabilità nell’equilibrio.
Ricerca a guida italiana, punta a ridurre gli effetti collaterali
Individuate nel cervello due nuove spie della malattia di Parkinson e grazie a questo risultato diventa possibile mettere a punto nuove terapie in grado di contrastare l’evoluzione della malattia, limitando gli effetti collaterali. Pubblicata in due articoli sulla rivista Neurobiology of Disease, la scoperta si deve alla ricerca internazionale condotta fra Italia, Stati Uniti, Francia e Giappone.
Le due spie sono gli alti livelli degli amminoacidi D-serina e L-serina, che nelle persone con il Parkinson compensano la progressiva perdita dei neuroni che producono la dopamina, il neurotrasmettitore che gioca un ruolo importante anche nel controllo del movimento.
Allo studio hanno collaborato l’Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed di Pozzilli, la Columbia University di New York, la Keio University School of Medicine di Tokyo, l’Istituto di Neuroscienze di Bordeaux, le università di Roma Tor Vergata e Cattolica di Roma, la ‘Federico II di Napoli e l’Università di Cagliari.
“Grazie ai risultati di questa ricerca, sarà possibile in futuro testare innovativi approcci terapeutici volti a migliorare il quadro clinico e a combattere più efficacemente la progressione di questa devastante patologia”, osserva il coordinatore della ricerca Alessandro Usiello, ordinario di Biochimica clinica dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli e direttore del Laboratorio di Neuroscienze Traslazionali del Ceinge Biotecnologie Avanzate Franco Salvatore di Napoli.
“Ad oggi – prosegue – la cura del Parkinson è infatti limitata a causa degli effetti collaterali (le discinesie) prodotti dal principale farmaco usato dagli anni ’60, L-dopa, e non è ancora riuscita a colmare i deficit cognitivi e comportamentali refrattari ai trattamenti al momento disponibili per i pazienti. Pertanto, approcci terapeutici combinatoriali saranno oggetto delle future ricerche”.
Fonte: Ansa