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Strage di Samarate: il figlio Nicolò è uscito dal coma

Nicolò Maja è scampato alla furia del padre Alessandro che il 4 maggio trucidò la moglie Stefania e la figlia Giulia di 16 anni nella loro villetta a Samarate

Nicolò Maja, il 23enne di Samarate (Varese), scampato alla furia del padre Alessandro che il 4 maggio ha trucidato in casa sua la moglie Stefania Pivetta e la figlia Giulia di 16 anni, è sveglio e riesce a comunicare a gesti. Il ragazzo avrebbe aperto un occhio e mosso una mano, dopo quasi un mese in terapia intensiva all’ospedale di Varese in coma farmacologico in seguito a un delicato intervento alla testa.

Nicolò: condizioni restano gravi e stazionari

Le sue condizioni restano gravi e stazionarie, ma quel piccolo segnale sta dando speranza ai suoi nonni, che restano costantemente accanto al 23enne. Lo ha confermato all’Ansa l’avvocato di famiglia Stefano Bettinelli: “Nicolò è decisamente migliorato e sembra davvero riesca a rispondere, anche se a gesti, alle domande – ha detto il legale – una notizia bellissima, seppure la prognosi non sia stata ancora sciolta e il percorso sarà molto, molto lungo”.

L’omicidio e il figlio superstite

Le due donne, moglie e figlia, erano state uccise a martellate da Maja, che poi aveva anche tentato di suicidarsi dandosi fuoco. Dalle ricostruzioni, emerge che Maja aveva colpito prima la moglie mentre si trovava sul divano, e i due figli erano stati raggiunti dopo mentre erano già a letto nelle loro camere. L’uomo aveva poi provato a darsi fuoco, ma senza riuscire nell’intento suicida. Nicolò era stato soccorso e portato in ospedale a Varese in elicottero con ferite gravissime alla testa.

L’ossessione per i debiti

Alessandro Maja è stato ricoverato nel reparto di psichiatria del San Gerardo di Monza: i suoi legali nelle scorse settimane hanno parlato di condizioni “incompatibili con il carcere”. Ha motivato il gesto con “l’ossessione per i debiti”, ammettendo le sue responsabilità al gip di Busto Arsizio Piera Bossi, durante l’interrogatorio d garanzia in ospedale. “Mi sentivo un fallito, responsabile di non poter garantire lo stesso tenore di vita alla famiglia in futuro”, ha detto al gip Maja, noto architetto.

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