“L’emergenza sanitaria ha creato una forte limitazione all’accesso ai servizi sanitari differibili come le prestazioni psicologiche la cui erogazione è stata garantita in molti casi da remoto pur con molte difficoltà organizzative. – sottolinea a Dire Angela Piattelli, vicepresidente Sipo(Società Italiana di Psiconcologia)-. Le ordinanze hanno vietato, inoltre, la possibilità di rivolgersi a professionisti non strutturati e in Italia tali cure vengono erogate in larga percentuale proprio da tali figure”. E, “la condizione di isolamento forzato, la consapevolezza di essere più fragili e più esposti al rischio di contagio del virus, accanto al bisogno prioritario di continuità delle cure, hanno dato priorità assoluta ai bisogni fisiologici e di sicurezza: la scala di Maslow insegna che i bisogni psicologici emergono solo dopo il soddisfacimento di quelli primari“. Adesso, nella fase due l’obiettivo è “ridisegnare i percorsi assistenziali: certezza delle cure, percorsi dedicati di accesso alle strutture sanitarie e assistenza domiciliare, sono prioritari per la meta del campione di malati oncologici preso in considerazione nell’indagine”. Sono emersi, infatti, “alcuni aspetti di cui i decisori politici dovranno tener conto per mettere a punto raccomandazioni necessarie per accompagnare il paziente oncologico e onco-ematologico cronico lungo un percorso di cure e assistenza personalizzato, che consenta al paziente stesso di proseguire con il piano di presa in carico e cura“.
Criticità
“Nella fase di emergenza ci sono state numerose difficoltà e criticità nel riorganizzare e garantire i percorsi ai quali erano abituati i pazienti- spiega a Dire Giorgina Specchia, professore ordinario di Ematologia Università degli Studi Aldo Moro di Bari-. Le emergenze assistenziali hanno richiesto in modo repentino una notevole quantità di risorse umane e strumentali per far fronte alla presa in carico dei pazienti sintomatici con infezione da Covid-19. Non è stato semplice per le direzioni strategiche degli ospedali organizzare e sostenere il carico assistenziale con i percorsi in sicurezza, cioè non a rischio di contagio per tutti gli altri pazienti, compresi quelli onco-ematologici. In questa situazione molti pazienti, per lo più anziani e privi di supporto famigliare, si sono sentiti trascurati o abbandonati“. Motivo di sollievo nel periodo di lockdown sono stati la famiglia e gli amici per metà dei pzienti. La quasi totalità dei malati oncologici hanno avuto come fonte di informazione internet e i canali social, seguiti da stampa e televisione.
1 su 10
Solo un paziente su 10 ha chiesto informazioni allo specialista e un paziente su 5 al medico di famiglia. Dati coerenti sull’intero territorio nazionale. Circa un terzo dei malati oncologici è preoccupato e sopraffatto dalla mole di informazioni (infodemia) che arrivano ogni giorno sul Covid-19. Infine, un buon 21% sente la mancanza di un rapporto diretto con il proprio medico curante. Solo il 3% cita lo psiconcologo come figura di riferimento in questa emergenza Alla luce di ciò, durante il periodo di convivenza con il virus in Italia, sarebbe opportuno prevedere un’estensione temporale delle tutele nel lavoro e la semplificazione della procedura di certificazione del rischio per persone immunodepresse, con malattia oncologica o che stanno facendo terapie salvavita, facendo in modo che sia sufficiente
l’attestazione del medico di medicina generale. E ciò, chiedono le associazioni che assistono i malati oncologici, senza ulteriori aggravi burocratici.